Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
Un Matteo Salvini forte in Italia, isolato in Europa, si appiattisce sulla Casa Bianca di Donald Trump presentandosi come una specie di «Boris Johnson del Mediterraneo». L’ex ministro degli Esteri britannico avanza verso la carica di primo ministro con l’appoggio di Donald Trump alla Brexit e a lui personalmente.
L’attuale vicepremier e leader della Lega si candida a Palazzo Chigi su una linea sovranista, spinto dai numeri due di un’Amministrazione americana che lo considera un grimaldello per scardinare l’Unione europea, e non solo. Così, reduce dai due giorni a Washington, Salvini rilancia subito il taglio delle tasse come «dovere».
E va oltre. Ripropone e fa riproporre i mini-Bot bocciati dal numero uno della Bce, Mario Draghi, come illegali e pericolosi moltiplicatori di debito. Sogna «una manovra finanziaria trumpiana», trascurando i fondamentali completamente diversi di un’economia americana prossima alla piena occupazione, e i vincoli che presto la Commissione Ue ricorderà al governo italiano sui conti pubblici. E si accinge a smantellare le posizioni di politica estera sgradite oltre Atlantico: dagli accordi siglati dal premier Giuseppe Conte con la Cina, alle ambiguità grilline sul Venezuela di Nicolás Maduro. Ma è soprattutto in Europa e in Italia che si avranno i primi effetti. La visita di Salvini negli Usa e gli incontri col vicepresidente Mike Pence e col segretario di Stato Mike Pompeo appaiono come il «placet» a una virtuale ascesa a Palazzo Chigi. Di fatto, al ritorno da Washington il capo leghista tende a presentarsi come referente del nostro alleato più potente e ingombrante; e a atteggiarsi ancora di più a premier-ombra del governo con il Movimento Cinque Stelle. E non solo in Italia. Il suo 34,3 per cento e i 9 milioni 153 mila 634 voti raccolti il 26 maggio rendono quello del vicepremier il partito maggiore; e uno dei più consistenti nel Vecchio Continente: una pedina preziosa.
Con enfasi sospetta, la rivista americana The Atlantic lo definisce «il Trump italiano». E lo nomina sul campo capo dell’Internazionale sovranista in Europa: più dell’ungherese Viktor Orbán e degli acciaccati leader conservatori inglesi. D’altronde, gli Stati uniti non vedono altri interlocutori italiani entusiasti, bisognosi di agganci e docili come Salvini. Osservata con occhi stranieri, l’Italia in politica estera è stata guidata in questi mesi dalla geopolitica confusa dei Cinque Stelle. E a Conte non si perdonano l’accordo con Xi Jinping sulla Via della Seta, né le esitazioni a riconoscere Juan Guaidó, beniamino di Washington, come presidente autoproclamato del Venezuela.
Su questo sfondo, una Lega disancorata dall’Europa «tedesca», e ansiosa di trovare sponde alternative a quelle ostili di Bruxelles, diventa un alleato subalterno e dunque utile. Pronto a assecondare le richieste americane; ma anche tenuto a dimostrare di poterle soddisfare. Solo così Salvini forse diventerebbe davvero «l’uomo dell’America», per un presidente Usa proiettato verso la ricandidatura alla Casa Bianca tra guerre commerciali contro le auto tedesche e l’invadenza cinese.
La domanda è se e quanto un leader della Lega che minaccia e promette sarà in grado di smarcarsi dal contratto con il M5S e dalla ragnatela di Conte; e di contrastare dinamiche europee più forti di ogni velleità sovranista, come insegna Brexit. Se la sua «bolla di potere» si rivela un bluff, non può aspettarsi solidarietà nemmeno dalla Casa Bianca. Tanto meno da Bruxelles, per la destabilizzazione che sta alimentando sulla politica estera. La previsione è che le trattative per scongiurare la procedura di infrazione contro l’Italia nascano già in salita; ma che siano complicate dal sospetto di una «quinta colonna» leghista tentata dalla rottura per conto terzi. La Russia di Vladimir Putin, l’altro faro di Salvini, e da più tempo di quello trumpiano, osserva e aspetta.