22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Gianfranco Pasquino

Gli operatori economici internazionali sono allarmati da un’ipotetica vittoria del No, ma i sostenitori di entrambi gli schieramenti dovrebbero impegnarsi per ridurne l’impatto negativo

È legittimo che gli operatori economici internazionali, fra i quali includo sia le banche sia le agenzie di rating sia i due grandi quotidiani economici anglosassoni, Financial Times e Wall Street Journal, mostrino grande interesse per l’esito del referendum costituzionale italiano. È anche comprensibile che siano preoccupati da eventuali conseguenze destabilizzanti derivanti da quell’esito. Persino accettabile è la loro convinzione, pur non sempre sostenuta da argomenti forti e conoscenze approfondite, che il voto favorevole alle riforme costituzionali costituisca un passo avanti importante per la stabilizzazione del governo in carica e per un miglior funzionamento del sistema politico.
Gli operatori economici internazionali sono, non necessariamente perché lo vogliono essere, parte del problema. Infatti, le loro valutazioni, influenzate anche dalle prese di posizione dei detentori di alcune cariche importanti come, ad esempio, l’Ambasciatore Usa e, direi, di conseguenza, l’ormai ex-Presidente Obama, contribuiscono sia ad accrescere le tensioni fra il Sì e il No sia a fare salire la posta. In gioco non sono più soltanto quelle specifiche riforme e la loro eventuale modernizzazione della Costituzione, ma la credibilità dell’Italia e l’efficacia anche del suo sistema economico.
Com’è facile notare dalle riserve che la Commissione europea ha manifestato relativamente alla Legge di Stabilità italiana, la credibilità del governo si misura anche, al di là di qualsiasi altra considerazione, sulla sua capacità di mantenere gli impegni presi (anche quelli dello zero virgola). Molti dei numeri di quella Legge di Stabilità riflettono anche le prestazioni di un sistema economico la cui produttività non può essere accertata e dimostrata ricorrendo semplicisticamente a qualche algoritmo. Nel frattempo, il dibattito italiano e i sondaggi sembrano avere già prodotto qualche effetto sugli atteggiamenti e sulle aspettative degli operatori economici internazionali.
La maggior parte di loro sembra avere superato la fase iniziale di grande allarmismo. Il testa a testa fra i due schieramenti, con una costante prevalenza del No, ha già suggerito a molti di ridefinire le loro previsioni e di iniziare a pensare il corso d’azioni necessarie se effettivamente vincesse il No. Dall’allarmismo a una strategia di limitazione dei danni il passo non è facile, ma può essere necessitato ed è meglio che sia preparato in anticipo. Se questa è la nuova condizione degli operatori economici internazionali, allora i sostenitori del Sì, a cominciare dal governo, si trovano con un’arma relativamente spuntata.
Non possono più, esagerando, chiedere agli italiani un voto che serva al tempo stesso a riformare le istituzioni e a dissipare la sfiducia di quegli operatori. Anzi, per mantenere quella fiducia, che va a vantaggio dell’intero Paese, dovrebbero abbassare i toni e smettere di ipotizzare scenari catastrofici in caso di sconfitta.
Un discorso non molto dissimile vale per i sostenitori del No. Una volta preso opportunamente atto che l’Italia si trova in un mondo globalizzato e in una Unione europea che la vorrebbe stabile e performante, i sostenitori del No dovrebbero cessare subito di demonizzare le banche d’affari, le agenzie di rating, gli americani e tutti coloro che, per una ragione o per un’altra, esprimono preoccupazioni.
Dovrebbero, al contrario, dichiarare che anche nel caso di una vittoria del No non ci saranno rese dei conti politici né stravolgimenti economici, che la posta in gioco è data, in effetti, dalle modifiche costituzionali e non necessariamente dalla vita del governo e che il post-referendum si svolgerà all’insegna delle norme costituzionali vigenti nell’interpretazione che ne darà il Presidente della Repubblica.
Insomma, il Sì e il No hanno la concreta possibilità di ridurre congiuntamente qualsiasi impatto negativo, sulla politica e sulla economia della vittoria del No, poiché questo è l’esito finora più temuto dagli operatori economici internazionali. Che almeno tutti ne siano pienamente consapevoli.

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