22 Novembre 2024

Dal dietrofront sui fitofarmaci ai miliardi stanziati con il Pnrr fino all’esenzione Irpef, tutto quello che occorre sapere

Cosa ha concesso fino ad ora la Commissione Ue agli agricoltori?
Il dietrofront più importate riguarda il taglio del 50% entro il 2030 dell’uso di fitofarmaci nelle produzioni. Secondo Coldiretti lo stop salva il 30% delle produzioni alla base della dieta mediterranea, dal vino al pomodoro. Il documento della Commissione Ue ritirato dalla von der Leyen prevedeva anche il 25% della superficie agricola dell’Unione ad agricoltura biologica entro il 2030. Mancanza di alternative valide ai fitofarmaci con il rischio di indebolimento e perdita delle produzioni, obiettivi troppo differenziati tra i vari Paesi europei, rischio per la sicurezza alimentare con il ricorso a prodotti provenienti da altri mercati che non rispettano le regole Ue sono alcuni dei nodi che, con il passare dei mesi, hanno fatto salire le contrarietà e indebolito la proposta.
Un’altra misura che è stata discussa e poi scartata riguarda le emissioni degli allevamenti intensivi di bovini: nelle prime fasi delle negoziazioni europee era stato proposto di trattarle allo stesso modo di quelle delle fabbriche, ma alla fine il Parlamento Europeo decise di continuare a escluderle. Alcune norme europee sulle emissioni industriali prevedono già che gli allevamenti di pollame o suini che superano un certo numero di animali debbano avere dei permessi speciali per operare.

Che cosa chiedono ancora gli allevatori alla Ue?
Il CNRA (Coordinamento nazionale riscatto agricolo) chiede una «revisione completa» della PAC, la Politic agricola comune, l’insieme di norme che vengono aggiornate ogni 5 anni e la cui ultima versione del 2023 sarà valida fino al 2027. Per gli agricoltori è un esempio di «estremismo ambientalista a scapito della produzione agricola e dei consumatori».
Uno dei punti più criticati è l’obbligo per gli agricoltori europei di lasciare incolto il 4 per cento dei propri campi, in modo da stimolare la biodiversità dei terreni. Gli agricoltori italiani ed europei l’hanno sempre criticato, vedendolo come un’inutile privazione di terreno potenzialmente produttivo. Il vincolo è contenuto nell’ultima versione della PAC, ma non è mai davvero entrato in vigore, dato che nel 2023 è stato sospeso a causa della crisi energetica e della guerra in Ucraina.
Qualcosa comunque gli agricoltori l’hanno già ottenuta perché la scorsa settimana la Commissione Ue ha proposto una sorte di deroga, che consente in pratica in quella porzione di terreni che dovrebbe restare libera di coltivare piante considerate benefiche per la terra, come piselli, fave o lenticchie, oppure colture a crescita rapida, che hanno un impatto meno pesante di quelle ordinarie. La proposta di deroga dovrà essere approvata dal Consiglio dell’Unione Europea, quindi dai rappresentanti dei governi dei 27 Stati membri.
Tra l’altro gli agricoltori chiedono che l’erogazione dei sussidi a sostegno del reddito agricolo previsti dalla Pec non siano subordinati al rispetto dei nuovi paletti, come quello del 4% di terreno da lasciare libero o altre misure green.
Altre richieste sono meno concrete o, in ogni caso, difficili da mettere in pratica. Per esempio, gli agricoltori chiedono di «ridurre o addirittura togliere» l’IVA su alcuni prodotti alimentari primari, che oggi sono tassati al 4 o 5 per cento, uno sconto già rilevante rispetto all’aliquota standard del 22 per cento. È una proposta di cui si parla da tempo, ma che sarebbe costosissima: secondo alcune stime lo Stato potrebbe perdere circa 6,5 miliardi di euro all’anno.

E’ vero che l’Italia è uno dei maggiori utilizzatori di pesticidi?
Secondo i dati contenuti nel rapporto del Wwf del 2022, ‘Pesticidi: una pandemia silenziosa’ l’Italia è il sesto maggior utilizzatore al mondo di pesticidi con 114.000 tonnellate l’anno di circa 400 sostanze diverse. A livello globale, nel 2019 sono state utilizzate circa 4,2 milioni di tonnellate (0,6 chilogrammi a persona) con un incremento previsto di circa 3,5 milioni di tonnellate.

E’ vero come dice Giorgia Meloni che il governo ha stanziato tre miliardi in più per l’agricoltura con il Pnrr?
I numeri nudi e crudi sembrano dare ragione alla Premier. Il Governo Draghi inizialmente alla missione due del Pnrr ha destinato 3,7 miliardi. Di questi, 800 milioni per potenziare la logistica e le infrastrutture nel settore agroalimentare, della pesca e della floricoltura. Un altro miliardo e mezzo è stato destinato ai cosiddetti “Parchi agrisolari” per realizzare impianti fotovoltaici sui tetti ed evitare così il consumo del suolo coltivabile. Infine 880 milioni di euro sono stati stanziati per aumentare l’efficienza dei sistemi di irrigazione e per ridurre le perdite e lo spreco d’acqua. A questi 3,7 miliardi lo stesso Draghi ne ha poi aggiunti 1,2 per rafforzare i cosiddetti “contratti di filiera e di distretto” nel settore agroalimentare, con l’obiettivo di “potenziare le relazioni intersettoriali lungo le catene di produzione, trasformazione e commercializzazione, attraverso l’aggregazione dei produttori e la creazione di responsabilità solidale delle imprese della filiera”. Si arriva cosi a quasi 5 miliardi che il governo Meloni ha ora portato a 7 miliardi e 850 milioni grazie ai 2 miliardi in più per finanziare il “Fondo rotativo contratti i filiera”, che eroga prestiti agevolati alle imprese agricole mentre 850 milioni in più sono stati messi sul piatto per i parchi agrisolari.
Ma la Cia, che rappresenta 900mila agricoltori italiani, contesta il racconto della Meloni, sostenendo che questi soldi in più vanno solo a compensare l’assenza di altri investimenti per investimenti in innovazione ed efficientamento energetico ed idrico. Finanziamenti dei quali ha invece beneficiato lo scorso anno il comparto industriale con il pacchetto di misure “industria 4.0” inserito nella manovra 2023.

Perché il Governo ha deciso di non prorogare più l’esenzione dall’Irpef per i redditi da lavoro agricolo?
L’esenzione dal versamento dell’Irpef è stata introdotta in Italia nel 2017 e poi prorogata di anno in anno, fino all’ultima legge di Bilancio che non l’ha riconfermata per il 2024. Gli agricoltori dovrebbero quindi tornare a versare l’imposta sui loro redditi e soprattutto su quelli dei loro dipendenti sulla base delle normali aliquote previste per le diverse fasce di reddito. Per il Governo, il taglio dell’esenzione sarebbe compensato dai maggiori finanziamenti del Pnrr per il comparto e il ritorno dell’Irpef segnerebbe il superamento di una anomalia tutta italiana, visto che nel resto d’Europa le tasse sui redditi sul lavoro agricolo si pagano. I più interessati alla misura sono i grandi coltivatori rappresentati più da Confagricoltura che dai piccoli aderenti alla filo-governativa Coldiretti. Il pressing su maggioranza e Governo resta forte e non è escluso che l’esenzione dell’Irpef venga riproposta con un emendamento al decreto milleproroghe.

Gli agricoltori italiani hanno più o meno sussidi di quelli europei?
A parte l’Irpef che negli altri Paesi europei si versa, gli agricoltori italiani possono contare su una accise sui carburanti molto più bassa di quella ordinaria e dell’imposta applicata all’estero, così come nel resto d’Europa non esiste l’Iva al 4% nel settore zootecnico, soggetto invece all’aliquota ordinaria del 22%.

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