Fonte: La Stampa
di Marco Bresolin
E si profila il fallimento della rilocalizzazione
Non sarà il Migration Compact auspicato da Renzi nella scorsa primavera, ma la Commissione Europea sta definendo gli ultimi dettagli per un importante Piano di investimenti esterni. Tra gli obiettivi dichiarati c’è quello di favorire lo sviluppo nei Paesi di origine dei migranti economici che scelgono di viaggiare verso l’Europa, scoraggiando così le partenze. L’investimento dell’Ue sarà di almeno 3,1 miliardi di euro, ma i tecnici della Commissione Juncker stanno lavorando sulle cifre e il totale dei fondi messi dall’Ue potrebbe essere addirittura superiore rispetto alle stime iniziali. La cifra è poi destinata a gonfiarsi, grazie a un meccanismo che azionerà un effetto-moltiplicatore: il valore totale degli investimenti potrebbe aggirarsi attorno a una cinquantina di miliardi.
Un progetto ambizioso che richiederà anni di lavoro prima di dare i suoi risultati, ma il Team Juncker ci punta molto. Non a caso il via libera al progetto verrà dato mercoledì 13 settembre durante la riunione dei commissari che si terrà a Strasburgo, alla vigilia di due appuntamenti-chiave. Il giorno dopo il presidente lo presenterà in Parlamento durante il suo discorso sullo stato dell’Unione e venerdì 16 ci sarà la riunione del Consiglio europeo a Bratislava (nel formato a 27 senza la Gran Bretagna). In vista di queste date-clou, la Commissione ci tiene a far sapere di avere sul tavolo una proposta concreta per dimostrare di non essere rimasta immobile.
Il piano per gli investimenti esterni punterà a favorire lo sviluppo economico di diversi Paesi, in particolare dell’Africa, del Nord Africa e del Medio Oriente. Ieri c’è stata una riunione del gruppo dei commissari che si occupa delle Relazioni Esterne e sono stati affrontati i punti principali. I dettagli sono tenuti top secret per favorire l’effetto-annuncio, ma il funzionamento sarà simile a quello del piano per gli Investimenti varato da Juncker: è previsto un fondo di garanzia che servirà per attrarre gli investimenti privati, offrendo un rischio limitato attraverso meccanismi di «blending». Anche la Banca Europea per gli Investimenti avrà un ruolo e la Commissione si aspetta una partecipazione da parte degli Stati membri per aumentare l’effetto-moltiplicatore.
Sul fronte interno, intanto, la situazione continua ad essere difficile. La gestione della «solidarietà» tra i Paesi è un problema serio per la Commissione, che rischia di veder naufragare il suo piano di redistribuzione dei richiedenti asilo da Grecia e Italia verso gli altri Stati. Un anno fa è stato lanciato il piano di «relocation»: 160 mila trasferimenti entro settembre 2017. Dopo un anno, dunque a metà percorso, i trasferimenti effettivi sono fermi a poco più di 4500 (1026 dall’Italia e 3495 dalla Grecia, dato aggiornato al 5 settembre).
Sono circa 50 mila i richiedenti asilo bloccati in Grecia e ora per il governo di Atene potrebbe arrivare anche la beffa. La Germania, che ha recentemente promesso all’Italia di darle una mano accogliendo i profughi attualmente sul nostro territorio, è pronta ad attivare sì i flussi, ma in senso contrario. Il ministro dell’Interno Thomas de Maiziere ha infatti spiegato che Berlino rispedirà ad Atene profughi che avevano fatto domanda d’asilo in Grecia. Così prevedono le regole di Dublino (la «gestione» del migrante spetta al Paese in cui è stata effettuata la prima richiesta di protezione internazionale) e infatti la Commissione europea fa sapere di non aver nulla da obiettare.
I rimpatri verso la Grecia, dagli altri Paesi europei, erano stati interrotti nel 2011, dopo che una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva definito «inumane» le condizioni di ospitalità. Per la Germania (e per Bruxelles) ora però la situazione di emergenza è finita e dunque entro la fine dell’anno sono previste le partenze. Il governo Tsipras è assolutamente contrario, anche perché, dopo un anno, il numero di profughi accolti dalla Germania è irrisorio: 42 dalla Grecia e solo 20 dall’Italia.