DONNE
Fonte: Corriere della SeraLa presenza femminile cresce dove è stata «forzata». Perché la diversità non è ancora entrata nella routine delle aziende. Ma il passaggio chiave è ora nel mondo della cultura, alla radice delle novità
Il monopolio dei posti di potere maschili si è rotto. Ma il cambiamento è ancora fragile.
Era il gennaio del 2008. In quelle settimane in Norvegia si stava dibattendo della volontà del governo di chiudere (nel senso proprio di non permettere più loro di operare) un centinaio di società che non rispettavano la quota del 40% riservata per legge nei consigli di amministrazione al genere meno rappresentato, le donne. Una decisione molto drastica. Ci si domandò allora in Italia cosa sarebbe successo alla nostra Borsa se si fossero applicati gli stessi criteri. Verdetto senza scampo: non una delle società avrebbe potuto restare in vita.
D’altra parte, il tetto del 40% era assolutamente «lunare» anche per le società più avanzate o per quelle che avevano donne nella famiglia proprietaria: le aziende quotate in Borsa viaggiavano in quell’anno su una media di donne che superava di un soffio il 5% e più della metà dei consigli di amministrazione esistenti era composto esclusivamente da uomini.
Pensare di avvicinare un nome femminile a società centrali nella vita economica e del potere italiano come Fiat, come Eni, come Telecom o Mediobanca o come le grandi banche era solo un esercizio di fantasia. Figurarsi la presidenza di un’autorità come la Consob, che controlla la Borsa. La presidenza di Confindustria, nel 2008, era stata il primo passo, rimasta a lungo una eccezione.
Terreno troppo ostico, l’economia e la finanza? La politica, che dovrebbe essere più vicina alle persone e, dunque, anche alle donne, non esprimeva un sentimento tanto diverso. Anzi. A fronte di una popolazione composta per metà da donne, nel 2008 le parlamentari italiane erano solo poco più di del 20% (con punte del 5% espresse dal Friuli o dell’11 e rotti di Sicilia e Calabria) mentre le parlamentari italiane in Europa avevano raggiunto quota 25% nel 2009 dopo aver galleggiato per diversi lustri tra il 10 e il 15%. Persino la scuola, terreno ad altissimo tasso di femminilizzazione, trovava una brusca caduta quando si arrivava all’università non riuscendo a superare la soglia del 20% dei professori ordinari donna.
Era solo sei anni fa.
«Bisogna prendere coscienza del fatto che siamo entrati in una fase nuova, che va consolidata ed estesa dove ancora ci sono resistenze — dice Linda Laura Sabbadini, direttrice del dipartimento Statistiche sociali dell’Istat —. Le donne stanno contando di più, soprattutto nella politica, da cui è venuta una forte accelerazione nel periodo più recente grazie a forme di regolamentazione o di autoregolamentazione che hanno portato non solo più donne ma anche a un ringiovanimento dei parlamentari».
Oggi le società quotate vedono la soglia del 20%, il Parlamento è per un terzo composto di deputate e senatrici, le italiane elette nel parlamento europeo sono a un passo dal 40%, il governo ha 8 ministre su 16 e nelle università ci sono 5 rettrici su 79, poche in percentuale ma ci sono. Quando alla Consob, è stata designata la prima presidente donna (Anna Genovese). Così come all’Agenzia delle entrate (Rossella Orlandi).
Una vera svolta, riconosce Monica Parrella, coordinatrice dell’ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità della Presidenza del consiglio. Ma una svolta ancora fragile. Perché la presenza femminile cresce prevalentemente là dove è stata forzata. Non a caso è nel 2009 che sono arrivati in Parlamento i progetti di legge da cui è nata la Golfo-Mosca che nel 2011 ha introdotto in Italia le quote di genere. Poi la doppia preferenza per le europee e le amministrative e in alcuni partiti.
«La presenza femminile non cresce in tutte le amministrazioni pubbliche, anzi in alcuni casi sta diminuendo — scrive Sabbadini nella presentazione del Rapporto sul benessere in Italia 2014, diffuso nei giorni scorsi —, a conferma di quanto sia importante garantire la presenza di meccanismi che condizionino il raggiungimento di certe soglie. Quanto più azioni e risultati innovativi, significativi e concreti corrisponderanno a questi evidenti sommovimenti, tanto più questa evoluzione potrà incidere sui valori di fiducia nelle istituzioni e negli altri, traducendosi in una forte spinta al rinnovamento per il Paese».
Attenzione, insomma, a non tornare indietro. In passato è già successo.
«Si è fatto molto — riconosce Maria Cristina Bombelli, fondatrice di della società di consulenza Wise Growth e grande esperta di carriere femminili — ma la diversità non è ancora entrata nella routine delle aziende. Stiamo facendo una ricerca sulla motivazione e sono convinta che emergerà che c’è un orgoglio da top manager di dover lavorare e di perseguire determinati risultati con modalità che non sono quelle femminili». Il «problema» sta nei modelli organizzativi: totalizzanti nel tempo e «che non lasciano possibilità di comportamenti diversi. Molte donne arrivate a un certo punto si domandano “Ma chi me lo fa fare?”. E non parlo solo di quando arriva un figlio, che acuisce sì le questioni, ma che rappresenta un periodo sempre più breve in una vita che si allunga. Sono le modalità di lavoro che non corrispondono tra uomini e donne. Tra l’altro, se avessimo un Pil elevato si potrebbe capire, ma siccome non è così forse bisogna usare leve diverse».
Proprio perché la sfera culturale è quella che poi, in definitiva, domina tutto, Maurizio Ferrera, professore ordinario di Scienza politica a Milano, sottolinea come negativo il fatto che mentre i numeri mostrano un progresso evidente in tema di presenza di genere, si senta la mancanza della presenza femminile nella cultura «importante per il potere ideologico che può esprimere».
Ferrera, che nel 2008 ha dato alle stampe quello che è una sorta di manifesto del lavoro femminile (Fattore D – Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia) incalza le attuali ministre: «Mi stupisce che in questa nuova congiuntura politica, che sarebbe più favorevole alla politica per le donne, non se ne parli nemmeno. In Germania — ricorda — il riorientamento è stato frutto dell’alleanza di due politiche come Ursula von der Leyden, della Cdu, e come Renate Schmidt, socialdemocratica, spalleggiate dalla cancelliera Merkel».
L’obiettivo di questi sei anni? Non certo la sostituzione di un nome femminile a uno maschile, di un monopolio all’altro, ma l’uso di tutti i talenti. Non è un caso che l’accelerazione sia avvenuta proprio negli anni della crisi economica peggiore. Vertici con una varietà di punti di vista e di età dovrebbero aiutare a modificare le organizzazioni. E finalmente rompere quello che è il vero grande problema italiano: il tasso di occupazione femminile. Sempre inchiodato al 46 e virgola. Eppure, conclude Ferrera, è una cosa ormai così scontata che più donne al lavoro produce un aumento del Pil, che si studia nei primi anni di università.
I numeri
Le società quotate
Dal 5,2% di presenza femminile nel 2008 sono arrivate al 18% a fine 2013. Con le assemblee della scorsa primavera si prevede un salto oltre il 20%. Designata una donna alla presidenza Consob.
Le società pubbliche
Dal 4% di donne nei cda sono arrivate al 17,2%. Nelle società non quotate che hanno già rinnovato il consiglio si è saliti al 23,8%. Presidenti donne per quattro gruppi pubblici (Eni, Enel, Poste e Terna). Nominata una presidente per l’Agenzia delle entrate.
La politica
Otto ministre su 16, 30,7% di parlamentari italiane (dal 20,3%), 38,9% di parlamentari in Europa (dal 25%).
Le organizzazioni
Prima segretaria generale per la Cgil (nel 2010). Confindustria: 3
vicepresidenti su 10, 1 presidente di comitato tecnico su 4, una direttrice generale.
Le prefette
Sono arrivate al 40% (erano al 33% nel 2010).
Governance
Entrare nei cda non è impossibile
E ai corsi arrivano anche gli uomini
A Napoli, dove la Fondazione Bellisario ha tenuto nei giorni scorsi la sua seconda edizione della Board Academy, realizzata insieme a Deloitte, questa volta c’erano diversi partecipanti uomini. «Un segnale di cambiamento — sottolinea Claudia Cattani, partner di Sts Deloitte —. Anche gli uomini sentono l’esigenza di innalzare il proprio livello culturale sui temi di governance».
In tutta Italia si studia per diventare consigliere di amministrazione. I corsi e le iniziative aumentano. A Torino parte il 7 luglio (termina l’11) la prima edizione della Summer School on Gender Economics and Society, organizzata dall’Università di Torino, dal Politecnico di Torino, dal CeRP-Collegio Carlo Alberto e dall’International Traning Center dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Il corso estivo, completamente in inglese, nato da un’idea di Elsa Fornero e Mariacristina Rossi, potrebbe diventare presto qualcosa di più strutturato e duraturo. Ha raggiunto ormai la quarta classe In the boardroom, il programma di formazione per consigliere di amministrazione di società quotate di Valore D e Ge Capital (In the boardroom), realizzato insieme a Egon Zehnder e Linklaters e che ha Anna Zanardi come coach e Marco Massarotto come esperto per i social media. Non poche delle nuove nomine arrivano da queste fila. Il Cuoa, la business school di Vicenza, ha deciso di mettere a disposizione delle manager 50mila euro in borse di studio e contributi economici per la partecipazione all’executive Mba 2014-2015. Bisogna affrettarsi: il bando scade venerdì 4 luglio.