Fonte: Corriere della Sera
di Lucrezia Reichlin
La possibilità di costruire alleanze larghe tra diversi pezzi della società e della politica in Europa è una strada più convincente che un braccio di ferro Mes contro coronabond
Domani ci sarà un’importante riunione dell’eurogruppo in cui ci si aspetta un accordo su nuovi strumenti comuni per combattere Covid-19 oltre a quelli già messi in campo come il vigoroso intervento della Bce, quelli della Banca Europea degli Investimenti e altre misure sia finanziarie che di allentamento regolatorio. Nonostante ormai ci sia la consapevolezza che bisogna fare di più, i Paesi arrivano divisi sul quanto e sul come.
In particolare l’Italia — per quanto sembra di capire — arriva all’appuntamento con una posizione contraria all’utilizzo dei prestiti del Mes mentre insiste sulla proposta dei coronabond. Nel frattempo, la Commissione Europea ha messo sul piatto il programma SURE che prevede 100 miliardi di prestiti a lungo termine ai governi nazionali per finanziare schemi di sostegno alla disoccupazione come la cassa integrazione. Altre proposte concepite da esperti, sherpa ed accademici circolano creando un dibattito ricco perquanto caotico.
In questo contesto è un errore da parte dell’Italia arrivare con una posizione di netta chiusura verso lo strumento del Mes e puntare tutto sul coronabond. La ragione è che ormai è chiaro che si dovrà discutere di diversi strumenti e non di un solo bazooka.
Gli obbiettivi che l’Europa deve perseguire per combattere questa crisi sono diversi e gli strumenti in campo devono essere quindi molteplici. Inoltre, la proposta del Mes in discussione è ben diversa da quella delle linee di credito per un singolo Paese e condizionali a un programma. È invece più simile a quanto proposto da un gruppo di economisti europei tra cui la sottoscritta (VoxEU 21 Marzo 2020), cioè a una nuova linea di credito dedicata al Coronavid disponibile per tutti I Paesi con condizionalità minima e soprattutto non legata alla situazione pregressa di finanza pubblica.
Per prima cosa è importante avere chiarezza sugli obbiettivi da perseguire e ce ne sono perlomeno tre. Primo, c’e’ bisogno di uno strumento di debito con maturità lunga che permetta a tutti i Paesi di affrontare la duplice crisi di salute pubblica e economica senza perdere accesso al mercato. Qui si tratta di spalmare i costi della crisi sul lungo periodo e per questo è necessario condividere il rischio tra Paesi che hanno condizioni di diversa fragilità, ma solo per quella parte di nuovo debito che ha a che fare con la pandemia. Ovviamente non si può domandare di condividere tutto il rischio del debito italiano, per intenderci.
Secondo, la solidarietà. Condividere i costi della crisi anche sapendo che questi ultimi saranno molto probabilmente diversi tra Paesi. Se questo fosse il caso, la solidarietà significa prevedere meccanismi che comportino trasferimenti dai Paesi meno colpiti a quelli più fragili.
Infine, rilanciare l’Unione dopo la crisi dal punto di vista economico senza mettere a repentaglio la salute dei cittadini. Questo significa coordinamento nelle misure di salute pubblica per garantire l’apertura delle frontiere e difendere il mercato unico, ma anche rilanciare nuovi progetti a cominciare dal «green deal» e da una idea di sostenibilità che includa l’aspetto sociale.
Quali sono oggi gli strumenti disponibili per perseguire questi obbiettivi? La proposta della Commissione sulla linea di credito per la disoccupazione (SURE) e quella di una nuova linea di credito del Mes rispondono al primo obbiettivo, ma in parte anche al secondo in quanto ambedue implicano una mutualizzazione del debito. Le due misure possono essere implementate sulla base di una infrastruttura esistente. Se la crisi dovesse prolungarsi potrebbero poi crescere per dimensione degli importi.
La proposta di estendere la capacità della Banca Europea degli Investimenti di erogare prestiti garantiti alle imprese va nello stesso senso anche se agisce direttamente sulle imprese senza passare per i Paesi. È uno strumento collaudato e potenzialmente potente. Un terzo strumento — di cui in questa crisi si è discusso poco, ma era stato suggerito durante la crisi del debito sovrano — è un fondo dedicato che possa essere veicolo per trasferimenti ai Paesi più colpiti e quindi perseguire il secondo obbiettivo, ma anche per finanziare progetti comuni e perseguire quindi il terzo. Ci sono molti modi di pensarlo. Potrebbe avvalersi dei contributi di ciascun Paese da versare nell’arco di dieci-vent’anni, ma esborsare immediatamente finanziandosi sul mercato. Uno strumento di questo tipo è qualcosa su cui lavorare. Poiché non implicherebbe la mutualizzazione del debito come nel caso dei coronabond sarebbe infatti più digeribile per i Paesi del Nord.
Su queste cose come sugli strumenti esistenti nel bilancio europeo c’è una discussione aperta e quindi la possibilità di costruire alleanze larghe tra diversi pezzi della società e della politica in Europa. Questa è una strada più convincente che un braccio di ferro Mes contro coronabond.
Costruire capitale politico comune è essenziale. Se la crisi dovesse prolungarsi e avere costi simili a quelli di una guerra devastante, i Paesi dell’euro avranno bisogno di una azione prolungata della Bce. Ma se questo sarà possibile dipenderà dal capitale politico comune che i governi saranno capaci di costruire perché nessuna banca centrale può agire senza la legittimità che deriva dal sostegno politico che a sua volta si basa sul voto democratico dei cittadini. Nel caso dell’Europa, del voto in diversi Paesi membri. La responsabilità è dei governi, incluso il nostro. E questo richiede pazienza, capacità negoziale ma anche la consapevolezza delle ragioni degli altri.