19 Settembre 2024

Cabina di regia anche sulla quinta rata, Salvini diserta la riunione. Gli obiettivi di fine anno scendono a 69 a 55, di cui 16 modificati. I sindaci: ricorsi al Tar se mancheranno i fondi

Alla nuova cabina di regia sul Pnrr a Palazzo Chigi, alla presenza della premier Giorgia Meloni, finirà per la prima volta ufficialmente sul tavolo lo stato dell’arte della quinta rata, collegata agli obiettivi del secondo semestre 2023 che nella versione originaria del Piano valevano 18 miliardi (20,7 al lordo delle anticipazioni già ricevute).

La cabina di regia
Anche questo cronoprogramma è investito dalla revisione generale del Piano proposta dal Governo italiano a inizio agosto e ora sotto l’esame della Commissione Ue. I numeri ufficiali emergeranno alla riunione convocata per lunedì 25 settembre, a meno di slittamenti legati all’agenda politica stravolta dalla morte di Giorgio Napolitano. La vigilia è percorsa da nuovi mal di pancia ministeriali, al punto che il vicepremier Matteo Salvini è intenzionato a disertare la riunione di lunedì adducendo impegni milanesi.
Dalla relazione inviata al Parlamento sulle richieste italiane a Bruxelles la sfida continua in ogni caso ad apparire impegnativa. Lo conferma la ricostruzione condotta da Sole 24 Ore e Pnrr Lab della Sda Bocconi, che prova a fare il punto sulla scadenza del 31 dicembre 2023 alla luce del documento governativo: gli obiettivi originali sono 69, ma di 11 si chiede il rinvio, tre riguardano le misure definanziate nella rimodulazione proposta dal Governo alla Ue, uno (relativo al biometano) viene cancellato e altri 16 sono modificati. Tra i target al centro delle richieste di proroga spiccano quelli che chiedono il rispetto in tutte le Pa dei termini di pagamento delle fatture in 30 giorni (60 nel caso della sanità) e l’estensione della banda ultralarga nelle isole minori, mentre lo stop ai fondi comunitari riguarda le piccole opere dei Comuni e gli interventi contro il rischio idrogeologico. Con l’aggiunta della Zes unica del Mezzogiorno, già approvata dall’Esecutivo comunitario e ora regolata nel decreto Sud, l’elenco aggiornato si snoderebbe quindi in 55 obiettivi.

Il via libera alla terza rata
Al vertice a Palazzo Chigi il Governo si presenterà forte del via libera ottenuto sulla terza rata da 18,5 miliardi, il cui accredito è atteso nelle prossime settimane, e sulla rimodulazione della quarta da 16,5 miliardi, sulla quale venerdì è stata inviata alla Commissione la richiesta di pagamento. Ma sarà chiamato a dare nuove assicurazioni sugli interventi definanziati nella proposta di rimodulazione, dalle piccole opere locali alla rigenerazione urbana, dai fondi contro il dissesto idrogeologico alle infrastrutture sociali di comunità, che aspettano certezze sulle risorse sostitutive.
La questione vale ben 15,89 miliardi, e investe circa 43mila progetti già attivi registrati con altrettanti Cup. Il numero si spiega prima di tutto con i 6 miliardi che erano destinati agli investimenti comunali nella sicurezza del territorio e nell’efficientamento energetico degli edifici pubblici, le “piccole opere” che proprio in quanto tali distribuiscono i fondi in una serie lunghissima di interventi. E infatti i sindaci, titolari di 13 dei 15,89 miliardi in uscita dal Piano, scalpitano. Sul punto la linea del Governo è chiara, e poggia su tre concetti chiave: l’eliminazione di questi investimenti dal Pnrr nasce dal rischio concreto, nella stragrande maggioranza dei casi, di inammissibilità decretata dai tecnici della Commissione o di mancata realizzazione entro il 2026; per il momento il finanziamento comunitario resta e quindi le opere devono proseguire; quando il taglio diventerà ufficiale, dopo l’ok Ue alla revisione, scatterà la copertura contestuale con altre risorse, quelle della coesione in primis, senza soluzione di continuità.

Sindaci: ricorsi al Tar se mancheranno i fondi
Ma il presidente dell’Anci Antonio Decaro, intervenendo alla prima edizione di SudInvest organizzata a Benevento dai consorzi industriali Asi per discutere dello sviluppo del Mezzogiorno, ha bocciato l’idea dei fondi di coesione, «che già arrivano ai Comuni attraverso le Regioni»; e ha chiesto di rifinanziare i progetti tagliati dal Pnrr con una quota dei 30,5 miliardi oggi nel Fondo nazionale complementare, il fratello minore e domestico del Piano europeo di cui il Governo da tempo annuncia la revisione. La tensione è alta soprattutto a Sud e Clemente Mastella, sindaco di Benevento e presidente della commissione Mezzogiorno e Coesione dell’Associazione dei Comuni, ha spiegato che i sindaci ricorreranno al Tar in caso di mancato rifinanziamento integrale e contestuale dei progetti esclusi dal Pnrr.

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