22 Novembre 2024
Economia soldi euro

Economia soldi euro

Investimenti. La relazione del Dipartimento per la coesione: clausola del 40% a rischio per la bassa risposta dei territori alle gare e le scarse garanzie dei bandi. Le cifre. Il monitoraggio sale al 41% (86,4 miliardi) solo includendo anche le misure non ancora attivate e la cui ripartizione territoriale è solo teorica

La quota Sud del Piano nazionale di ripresa e resilienza è appesa a stime, ripartizioni teoriche, assegnazioni ancora da fare. L’impegno del governo a destinare almeno il 40% degli investimenti del Pnrr a interventi nel Mezzogiorno in pratica oggi somiglia a un castello di carta, poggiato su tante incognite, come dimostra la nuova fotografia, con numeri aggiornati alla fine di giugno, scattata dal Dipartimento per le politiche di coesione (Dpc) nella seconda Relazione sul rispetto della clausola fissata dal decreto 77 del 2021.
Siamo anche oltre al 40%, e precisamente al 41%, se si includono sia gli interventi attivati, per i quali cioè sono già stati formalizzati atti che ne determinano la destinazione territoriale, sia quelli non attivati. Ma se più concretamente ci si attiene alle misure attivate, in qualche modo dunque blindate e non aleatorie, la quota Sud si ferma al 34%.

Partecipazione ai bandi troppo bassa
La Relazione del Dpc di Palazzo Chigi, frutto in particolare del lavoro del Nucleo di valutazione e analisi per la programmazione, fa ben capire le difficoltà di rispettare la clausola a fronte di una capacità progettuale delle amministrazioni meridionali e di una vivacità imprenditoriale delle aziende, e quindi di una partecipazione ai bandi, a volte troppo bassa per arrivare al fatidico 40%.

Attivato solo il 34% delle risorse Pnrr
Nel documento si parte da 210,6 miliardi tra risorse propriamente del Pnrr e risorse del Fondo nazionale complementare. In questo grande plafond vanno distinte misure già «territorializzate», cioè inserite direttamente nel Pnrr con un un’esplicita localizzazione territoriale e il relativo costo, e «territorializzabili», che cioè richiedono procedure amministrative per essere allocate su base locale. Considerando tutta la massa delle risorse, il Sud è al 30 giugno 2022 a quota 86,4 miliardi quindi al 41%. Si scende però notevolmente a 71,6 miliardi, cioè al 34 per cento, se si guardano le sole misure attivate.

La necessità di rafforzamento della governance
C’è in sostanza un margine di rischio, più o meno alto, negli interventi stimati o da ripartire che teoricamente dovrebbero andare al Sud. Il pericolo, sottolinea il Dpc, «è che la quota Mezzogiorno, valutata a conclusione di tutte le procedure dirette alla selezione di progetti, possa risentire della insufficiente capacità di assorbimento delle risorse da parte dei potenziali beneficiari (persone, imprese, enti locali…)». Di qui il rinnovato suggerimento a prevedere interventi di rafforzamento della governance, con clausole e meccanismi di salvaguardia volti a garantire l’assegnazione di almeno il 40% di risorse al Mezzogiorno. In sostanza, quanto avvenuto per ora solo con alcuni bandi per i quali, a fronte di una risposta iniziale bassa al Sud, sono stati riaperti i termini per la presentazione delle proposte progettuali (è il caso di progetti di economia circolare o delle domande per gli asili nido).

Notevoli progressi ma impianto resta fragile
La Relazione mette in luce come, rispetto al primo documento aggiornato allo scorso gennaio, i ministeri abbiano fatto notevoli progressi perché le misure attivate e i progetti già identificati sono aumentati, ma resta la fragilità dell’impianto. Vediamo ad esempio, partendo dalla quota più solida e arrivando a quella più incerta, come sono composti gli 86,4 miliardi che portano al (teorico) 41%: 7,4 miliardi già “territorializzati” direttamente nel Pnrr, 17 miliardi “territorializzabili” e già assegnati dai ministeri a territori, 47,2 miliardi sottoposti all’alea dei bandi e delle procedure semi competitive, 14,8 miliardi come detto di misure non ancora attivate.

Le performance dei vari ministeri
Certamente le performance dei singoli ministeri sono tra loro abbastanza difformi, anche se includiamo nel calcolo le misure non ancora attivate. C’è ad esempio il caso del ministero dello Sviluppo economico, fermo a una quota Sud del 24,5% principalmente per l’impossibilità di ripartire a tavolino gli incentivi fiscali automatici del piano Transizione 4.0 e che pesano per 13,4 dei 25 miliardi totali gestiti dal ministero tra Pnrr e Fondo complementare. Largamente sotto soglia c’è anche il ministero del Turismo, che è al 28,6% e ad esempio non ha previsto alcuna quota per il Fondo nazionale volto alla riqualificazione degli alberghi. Ministero della Cultura, del Lavoro e degli Esteri (per la distribuzione dei fondi all’export) sono al 38% circa. Ben oltre il target ci sono il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (48,2%) e quello dell’Istruzione (44,2%).

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