19 Settembre 2024

Se qualcosa andrà storto (nella certezza che tutto sarà difficile) non si potrà più ricorrere alla cantilena della «stupida» Bruxelles. La stupidità sarà interamente nostra

Sono arrivati i difficili nodi del Pnrr e quelli del nuovo patto di Stabilità. Il nostro Stato (e non questo o quel governo) è ora nudo di fronte alle sue responsabilità. Le crisi che si sono susseguite (finanziaria, pandemica, bellica) hanno imposto una nuova governance dell’Unione Europea. Come sempre, Jean Monnet vedeva lungo: «gli europei accettano il cambiamento solo nella necessità e vedono la necessità solo nella crisi».
Questo diverso modo di governo ha visto crescere il protagonismo dell’Unione sia nel lancio della grande pianificazione con il Recovery Fund – a debito comune – sia nella prima individuazione di beni pubblici europei a cura centralizzata. Ha visto però, insieme, il «ritorno dello Stato» dato che il suo successo dipende dalla responsabilità nazionale dei 27. Non si tratta del consueto criterio di sussidiarietà: per cui la ripartizione di competenze tra Unione e Stati membri si basa sulla «portata» dell’azione. Né tantomeno di una «rinazionalizzazione» di competenze: dato che queste sono ora «nuove» per organizzazione, per finalità, per conseguenze. È un diverso modo di stare nell’Unione: perché il quadro generale di regole valide per tutti si concretizza poi in una applicazione «sartoriale» per ciascuno Stato, responsabile del «fare».
La grande pianificazione ha dato infatti vita ad un Pnrr per ogni singolo Stato . Ciascun Piano identifica un individuale percorso di ripresa: per ottenere risorse europee condizionate ai risultati conseguiti. È così anche nella riforma in fieri delle regole per gli «aiuti di Stato». Ora spetta alle politiche nazionali decidere gli interventi pubblici a sostegno dei propri settori produttivi più esposti alla concorrenza USA.
Così ancora – nel patto di Stabilità che si sta discutendo – ciascuno Stato ha la responsabilità di individuare, guardando ai conti di casa, il mix di riforme e investimenti che gli consenta di rispettare, con la crescita economica, le condizioni di sicurezza dell’area euro. In tutto questo non vi è snaturamento della sopranazionalità dell’Unione. Al contrario, tracciando il quadro generale degli interessi euro-nazionali, l’Unione resta protagonista : indicando le corsie in cui si svilupperanno autonomamente le funzioni costituzionali nazionali. La decisione concordata in sede europea «entra» dunque nel parametro di costituzionalità, diviene base di legittimità dei comportamenti statali.
Di questa incidenza sui processi costituzionali interni ce ne siamo accorti in tre esempi recenti della nostra esperienza pubblica. Il primo fu il 21 luglio 2022: quando si decise che il governo Draghi, pur a Camere sciolte, avrebbe potuto compiere tutti gli «atti necessari all’adozione del Pnrr». Per prassi costituzionale, gli «affari correnti» non erano mai stati così sconfinati. Il secondo caso avvenne il 24 febbraio scorso: con il monito del Presidente della Repubblica Mattarella al governo per ricordare che la proroga delle concessioni balneari è costituzionalmente «difforme dal diritto dell’Unione Europea anche per gli impegni assunti dall’Italia nel Pnrr». Il terzo caso, nello stesso giorno, con la emanazione del decreto-legge n. 13 che istituiva presso la presidenza del Consiglio la «struttura di missione» del Pnrr: e indicava così nel premier la titolarità conclusiva dell’indirizzo politico, cioè della più alta delle funzioni costituzionali di governo.
Naturalmente ci sono ancora dubbi e controversie sui «pezzi» della nuova architettura europea. Lo spirito che tutti li anima sembra però chiaro: è quello di una Unione di «responsabilità nazionali». Se qualcosa andrà storto (nella certezza che tutto sarà difficile) non si potrà più ricorrere alla cantilena della «stupida» Bruxelles. La stupidità sarà interamente nostra: responsabili unici di inefficienze, ritardi o magari ostruzionismi.

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