Vengono erogati circa 32 miliardi di euro. Bisogna implementare il numero dei brevetti e i percorsi applicativi semplificando procedure e bandi
L’attuale Pnrr rappresenta una opportunità irrepetibile ed apre alla speranza di superare molte criticità nel mondo della ricerca. Infatti, per istruzione e ricerca (quarta missione) vengono erogati circa 32 miliardi di euro, dei quali 17 destinati specificamente alla ricerca, oltre ai fondi delle altre missioni destinate alla ricerca ed al programma nazionale ricerca PNR. Con soddisfazione si nota un adeguato riconoscimento per la ricerca di base (circa 4 miliardi), sottofinanziata nel corso degli anni passati, generando uno squilibrio con la ricerca finalizzata o per obiettivo. Ci deve essere assolutamente uno spazio adeguato per la ricerca libera, spontanea, che stimola la mente del ricercatore aprendo nuove frontiere, nuovi orizzonti, con alla base una vera e propria «intuizione lirica». Da non trascurare anche le caratteristiche di «serendipity» (mi si perdoni l’inglesismo) che spesso stanno alla base di importanti scoperte.
Inoltre il Pnrr prevede investimenti importanti in favore della ricerca applicata e sviluppo sperimentale. Questi ammontano a circa 10 miliardi di euro rappresentando circa il 60% dei totali investimenti per la ricerca. In questo caso l’approccio deve essere differente; qui è necessario prevedere gli obiettivi, il loro raggiungimento, la collaborazione con le imprese ed il congiungimento tra domanda ed offerta. È necessaria anche una rigorosa valutazione ex ante, in itinere ed ex post al fine di monitorare la validità dei risultati suscettibili di traduzione industriale.
Mi sembrano invece limitate le risorse adibite al trasferimento tecnologico (circa 380 milioni). Se occupiamo il quinto posto nella scala mondiale delle pubblicazioni scientifiche con il 5% delle pubblicazioni mondiali ed il quarto posto nelle quote di citazione (indici importanti visto il sottodimensionamento dei ricercatori), non siamo in grado di effettuare il trasferimento tecnologico di queste nuove conoscenze.
Un indicatore è rappresentato dal deposito del numero dei brevetti. Se si prendono le domande depositate nel 2020, l’Italia, nonostante l’aumento verificatosi ultimamente, è agli ultimi posti della scala dei paesi industrializzati con 4600 brevetti, rispetto ai 25000 della Germania, i 10000 della Francia, i 44000 degli USA. Faccio appello alla sensibilità della Ministra Bernini per promuovere non solo il numero dei brevetti depositati, ma anche il loro successivo sviluppo. Molti pensano che l’obiettivo sia raggiunto all’atto del deposito, ma quello rappresenta solo l’inizio di un percorso.
I fondi del trasferimento tecnologico andrebbero incrementati e dovrebbero servire ad incentivare la formazione di spin off guidate dai ricercatori inventori. Si potrebbero erogare finanziamenti anche di modesta entità, al fine di arrivare alla cosiddetta «proof on concept» del brevetto. Vedrei favorevolmente la figura del ricercatore-imprenditore, che sviluppa il proprio brevetto, lo veste e lo rende attrattivo da parte delle imprese. Se però il ricercatore è obbligato a mettersi in aspettativa per svolgere questo ruolo, declinerà, perché difficilmente vorrà sospendere la sua attività di ricercatore. Bisogna superare anacronistiche restrizioni non motivate perché non esiste alcun conflitto d’interessi. Infatti, del successo di un brevetto ne verrebbe ad usufruire la società nel suo complesso, la qualità di vita, l’istituzione che lo ha promosso ed infine anche l’inventore stesso.
Altre riforme necessarie riguardano le risorse umane. Il personale di ricerca è fortemente sottodimensionato e sotto retribuito. Il numero dei dottori di ricerca è molto al di sotto di quello dei nostri competitori europei ed inoltre una percentuale di circa il 15% emigra all’estero attratto da migliori condizioni economiche. Bene ha fatto il Pnrr a promuovere corsi di dottorato in collaborazione con le imprese, con le università, con gli enti di ricerca e con programmi strategici nazionali. Si deve dare la possibilità ad un ricercatore dell’università di trascorrere un periodo di tempo presso un ente di ricerca o presso un’impresa e viceversa.
Esiste una generale esigenza di sburocratizzazione. Bisogna alleggerire le procedure, andare al merito dei problemi, concentrarsi sul successo dei risultati più che su aspetti formalistici. Si prendano in considerazione i bandi per selezionare i progetti. Prima di arrivare al contenuto in media ci sono non meno di 80, 90 «sentito…considerato…visto….ecc.» quasi che per l’espletamento delle ricerche fosse necessario conoscere i regi decreti o addirittura i codici napoleonici, per non parlare del contenuto dei bandi dove vi sono talvolta delle vere trappole in cui diventa facile cadere rischiando l’esclusione di validissimi ricercatori. Norme di semplificazione che potrebbero migliorare la gestione e sono tanto più attese per rispettare i tempi stretti richiesti dal Pnrr.
In conclusione, ci sono tutte le condizioni per essere cautamente ottimisti. Infatti, ci sono le risorse economiche, c’è l’impegno forte della comunità scientifica, c’è l’impegno del Governo e del Parlamento. Si tratta solo di affrontare con decisione e senso di responsabilità questa importantissima sfida del nostro paese.