18 Ottobre 2024
Ambiente rinnovabili eoliche

Dai pannelli solari all’eolico, in questi giorni, il Green Deal non vive il suo momento più felice, come si registra anche dalle proteste degli agricoltori

Avviso agli amanti delle politiche industriali. Ieri, il maggiore sviluppatore di campi offshore per l’energia eolica — la multinazionale danese Ørsted posseduta per il 50,1% dal governo di Copenaghen — ha comunicato il taglio di 800 posti di lavoro, il ritiro dai mercati di Spagna, Portogallo e Norvegia, la sospensione dei dividenti per il periodo 2023-2025. È che il settore, sotto la grande pressione dell’Unione europea per arrivare a produrre il 42,5% dell’energia da fonti rinnovabili, si è trovato nel mezzo di una tempesta perfetta: distruzioni nelle catene di fornitura iniziate con la pandemia e aggravate dall’invasione russa dell’Ucraina, costi in crescita, problemi tecnologici.
Nei mesi scorsi, parecchi progetti dei governi sono stati rinviati o cancellati. Ørsted aveva visto tempi molto migliori quando la Ue aveva lanciato i piani di transizione energetica con relativa politica industriale per raggiungerli: dai massimi del 2021, le sue azioni sono scese del 70% e ora la società ha ridotto il suo obiettivo di installare una capacità energetica di 50 gigawatt entro il 2030 a 35-38. Altri operatori sono in difficoltà. In parallelo, succede che Bruxelles sembra essere in confusione su cosa fare nell’altra gamba che dovrebbe portare verso l’energia pulita: il solare. Qui, succede che solo il 3% dei pannelli solari installati l’anno scorso in Europa sono stati prodotti da aziende europee. È che oltre l’80% del mercato è controllato da produttori cinesi che li vendono a circa il 50% di quanto riescono a fare gli europei: secondo funzionari della Ue, grazie ai sussidi di Stato che Pechino distribuisce loro; e anche grazie, in certi casi, all’uso di lavoro nello Xinjiang, dove sono stati documentati casi di abusi dei diritti umani. Nei giorni scorsi, Johan Lindhal, segretario generale dell’European Solar Manufacturing Council, ha detto al sito web Politico che «la situazione è davvero, davvero, davvero difficile». A suo avviso, «possiamo perdere la maggioranza dell’industria europea (del settore, ndr) nel prossimo paio di mesi se non ci sarà un forte segnale politico». Dilemma a Bruxelles: lasciare che un intero settore muoia o rinunciare ai pannelli cinesi al momento insostituibili? In questi giorni, il Green Deal non vive il suo momento più felice, come si registra anche dalle proteste degli agricoltori. Nubi serie sul maggiore piano di politica industriale d’Europa.

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