19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

economia

di Dario di Vico

Il jobs act dunque ha sicuramente modernizzato la nostra legislazione e in abbinata con un generoso sistema di incentivi ha spinto in su l’occupazione nel 2015. Ma una legge non può invertire completamente la tendenza del mercato

Per definire l’andamento dei dati sull’occupazione Maurizio Sacconi è ricorso alla metafora delle montagne russe e l’immagine è sicuramente efficace. I riscontri di marzo sono confortanti ma alla fine compensano quelli negativi del mese prima e non c’è dubbio, come lo stesso ex ministro ha messo in luce, che c’è una sproporzione tra i massicci stanziamenti pubblici per la decontribuzione e i risultati ottenuti.

Oggi è il Primo Maggio ed è il giorno più consono per tentare un bilancio delle politiche del lavoro accompagnandole con l’individuazione delle tendenze più significative emerse negli ultimi mesi. Il jobs act dunque ha sicuramente modernizzato la nostra legislazione e in abbinata con un generoso sistema di incentivi ha spinto in su l’occupazione nel 2015. Ma una legge non può invertire completamente la tendenza del mercato e così il 2016 presenta i risultati in altalena di cui parlavamo.

La causa prima risiede in una debole ripartenza del Pil che è rimasto sotto le aspettative e che in verità non autorizza grandi speranze per i prossimi 18 mesi. L’ultima previsione del centro ricerche Ref dà +1% per l’anno corso e +1,1% per il 2017 e del resto basta girare le assemblee degli imprenditori per avere la netta sensazione di come il sentimento prevalente sia ancora una volta quello dell’incertezza. Il sistema delle imprese si è fortemente polarizzato ma quelle che hanno «svoltato» e, almeno in teoria, sarebbero in grado di accrescere gli organici — con o senza incentivi — non sono più di un terzo.

Nell’attesa di un ciclo economico più favorevole qualcosa di più si poteva però fare in materia di politiche attive del lavoro. Garanzia Giovani è stato sicuramente il primo test nazionale a cui è stato sottoposto il nostro sistema di centri per l’impiego e come tale è stato utile ma sul piano dei risultati occupazionali si è rivelato un flop. Ricordo che il programma, finanziato dalla Ue, avrebbe dovuto rappresentare un’occasione di stretto dialogo con i giovani per introdurre il tema della occupabilità, per insegnar loro ad autogestire — almeno in parte — il proprio capitale umano come fosse un libretto di risparmio. Purtroppo quest’operazione non è stata neppure tentata.

Aggiungiamo che l’Anpal, la nuova agenzia del lavoro considerata la seconda gamba del jobs act, a otto mesi dalla sua istituzione non è ancora entrata in funzione e occorrerà aspettare almeno giugno perché ciò avvenga. A dimostrazione di come in Italia la burocrazia soffochi il lavoro è stato calcolato che per varare l’Anpal si rendono necessari 50 passaggi (!) formali, un interminabile andirivieni di carte tra ministero e Camere.

In parallelo alle scelte fatte per tentare di smuovere il tasso di occupazione il governo ha promosso un disegno di legge per le partite Iva e i free lance che prevede un welfare più adeguato, il riconoscimento del valore della formazione, regole fiscali più sensate e garanzie sui pagamenti. Si tratta di un passo significativo nei confronti del lavoro autonomo ed è importante sottolinearlo in una giornata come quella di oggi vissuta in passato come la festa del solo lavoro dipendente. In una società che cambia velocemente e in un’economia come la nostra che cerca di posizionarsi sul versante della qualità e della conoscenza molte barriere tra autonomi e dipendenti sono cadute ed altre sono destinate a cadere. La stessa ristrutturazione delle imprese con l’allungamento delle filiere di fornitura materiale ed intellettuale segnala abbondantemente questa tendenza. Anche in questo caso una legge non è la panacea ma può rappresentare quantomeno un passo in avanti verso una più larga cittadinanza del lavoro.

Oggi a Genova e nelle altre piazze ci sarà una nutrita rappresentanza di metalmeccanici, in lotta per il rinnovo del loro contratto. Venerdì 6 riprenderanno le trattative dopo lo sciopero di 10 giorni fa che, per dirla con eufemismo, non rimarrà scolpito nella storia sindacale. Ci sono tutte le condizioni per chiudere il contratto entro il mese di maggio anche perché su due temi qualificanti come formazione e previdenza integrativa l’accordo già c’è. Resta da discutere la parte salariale ovvero l’equilibrio tra gli incrementi decisi in sede di contratto nazionale e gli spazi lasciati al negoziato in fabbrica, le parti sono ancora distanti ma non è impossibile trovare la mediazione. In ballo ci sono il rinnovamento delle relazioni industriali italiane, la possibilità di avvicinare le regole alle esigenze del mercato e di aprire una nuova stagione di partecipazione e impegno sindacale. E’ un risultato ampiamente alla portata dei protagonisti che in questo modo dimostrerebbero alla politica, senza timore di smentite, l’utilità dei corpi intermedi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *