19 Settembre 2024

Agli exit poll l’unica maggioranza possibile è quella delle opposizioni. Pesa il voto delle donne

Che la festa abbia inizio. Solo che questa volta l’indirizzo giusto è diverso da quello solito. Quando scende la notte, le luci del palazzo sulla via Nowogrodzka che ospita la sede di Diritto e Giustizia (Pis) ancora sono spente. Forse Jaroslav Kaczynski, padrone unico e indiscusso del partito al governo da otto anni, fautore di una linea sempre più antieuropea, aveva già intuito che questa volta non sarebbe stato come nel 2015 e nel 2019, con i brindisi per strada e la folla in piazza a inneggiare il suo nome. Come ripete spesso lui, citando a modo suo la Bibbia, le candele non possono bruciare per sempre. In questa domenica di primo freddo, la Polonia è andata a votare in massa, alle 17 l’affluenza era del 57,54%, una enormità se paragonata al 45,94% del 2019 e al 39% del 2015. A quell’ora, le regioni più europeiste del nord ovest avevano già superato il sessanta per cento. Erano state definite come le elezioni più importanti dal lontano 1991, quando il Paese divenne finalmente libero di scegliere i propri rappresentanti dopo la fine dell’Unione sovietica. Le urne piene hanno confermato che i polacchi hanno capito di essere di fronte a un bivio importante. Al punto che in zona Cesarini è stato deciso di tenere aperti i seggi fino alle 22, un’ora più di quanto stabilito dalla legge.
Alle 21, quando escono i primi exit poll indipendenti, le uniche grida di gioia arrivano dal poco distante quartier generale di Piattaforma Civica (Ko), il partito moderato di centrodestra guidato da Donald Tusk. Al Museo Nazionale Etnografico, dove l’ex presidente del Consiglio europeo ha scelto di attendere i risultati, i suoi volontari cominciano a correre per le sale, inseguiti vanamente dai custodi. Non ci speravano, sono i primi a riconoscerlo. Negli ultimi giorni, il pessimismo aveva preso il sopravvento. E invece. La destra polacca non ha vinto. Il Pis si ferma intorno al 36 per cento, 7% in meno rispetto al 2019. Rimane ancora il primo partito, ma intorno a sé vede il deserto. Meno bene del previsto anche gli ultranazionalisti, antieuropeisti e russofili di Confederacja, che essendo un partito e non una coalizione entreranno comunque in Parlamento, con il 6%.
Il fronte europeista va meglio di qualunque previsione della vigilia. Tusk e la sua Piattaforma arrivano quasi al 32 per cento, i suoi alleati di Lewica (sinistra) superano la soglia dell’8% necessaria a entrare in Parlamento. La vera sorpresa sono i centristi di Terza Via, che due mesi fa avevano rifiutato di entrare in coalizione con Tusk ma si erano detti pronti a un’alleanza postelettorale con lui. Se confermato, il loro 13% non l’aveva visto arrivare nessuno. Quando anche la televisione nazionale, megafono governativo che solo ieri assegnava al Pis un esorbitante 48%, comincia a pubblicare dati in linea con gli altri exit polls, il cambio di stagione assume contorni reali. Nella migliore delle ipotesi, il Pis faticherebbe a raggiungere i 231 seggi necessari per confermarsi al potere anche alleandosi con Confederacja. Se Piattaforma e Terza via, già sposi promessi, dovessero trovare un accordo, potrebbero invece arrivare a quota 248. Al momento, con tutte le cautele del caso, l’unica maggioranza possibile è quella delle opposizioni. Non è un caso che il primo ad apparire davanti ai microfoni sia proprio Tusk, e che parli apertamente di vittoria. «Mi sento solo di dire che in questo momento sono l’uomo più felice sulla faccia della terra. Con questi dati, finisce l’epoca populista».
La faccia di Kaczynsky dice più delle sue parole. È deluso, e non nasconde la consapevolezza di quel che potrebbe accadere. «Siamo il primo partito, ma non sappiamo se con questi numeri cambierà il governo. Ci aspettano giorni di grande tensione». Intorno a lui, i suoi ministri e i suoi uomini di fiducia. Nessuno sorride. Per il Pis appare quasi impossibile ottenere una maggioranza in splendida solitudine, come era avvenuto le ultime due volte. Le analisi della prima ora individuano nel voto delle donne il fattore decisivo per questo inatteso ribaltone. La legge che vietava in ogni modo l’aborto potrebbe essere stata davvero il punto di non ritorno per Kaczynsky. Le tardive promesse di modifica non avrebbero sortito l’effetto sperato. Il danno era già stato fatto. Alle 23, il quartier generale di Tusk si trasforma in una specie di discoteca. Oggi cominceranno le trattative e la compravendita dei neodeputati, arte nella quale il vecchio Kaczynsky è considerato un maestro. Ci vorranno giorni, per capirne di più. Conterà molto anche il conteggio del voto all’estero, storicamente favorevole ai moderati, che ha visto un afflusso di schede doppio rispetto al 2019. Ma comunque vada, da ieri la Polonia non ha più un padre padrone euroscettico. Il castello di Visegrad e l’alleanza ideologica con l’Ungheria di Orban appaiono più lontani.

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