Fonte: La Stampa
di Monica Pelosino
Quinto giorno di manifestazioni contro la decisione di limitare ulteriormente il diritto all’interruzione di gravidanza. E la parola più cercata su Google diventa “apostasia”
L’imperturbabile Jarosław Kaczyński, presidente del partito al governo e di fatto padre-padrone della Polonia, inizia a preoccuparsi: quella che sperava fosse una protesta marginale contro la stretta sul diritto all’aborto, sta diventando un movimento nazionale e trasversale. In 150 città del Paese, da Varsavia ai piccoli paesini delle campagne, da 5 giorni le donne organizzano sit-in, marce, manifestazioni e veglie per protestare contro il pronunciamento della già severa legge sull’aborto. Un fatto epocale per il Paese profondamente cattolico e tradizionalista. Dopo la processione dei contadini di ieri, oggi in piazza a Varsavia sono scesi anche alcuni poliziotti e numerosi medici. Dai balconi delle “zone rosse” per il Covid sventolano lenzuola bianche su cui le donne rivendicano il diritto negato di poter interrompere le gravidanza in caso di gravi malformazioni del feto, e gruppi di madri con i passeggini sfidano il coprifuoco bloccando il traffico di Varsavia. La protesta, che ormai ha travalicato i confini nazionali, ha raccolto adesioni dalle donne in vari Paesi europei (che stanno manifestando sotto le ambasciate) e perfino l’artista americana Miley Cirus (seguitissima in Polonia) ha pubblicato su Instagram, sull’account della sua Happy Hippie Foundation (che si occupa principalmente del problema dei senzatetto e dei diritti Lgbtq), le motivazioni della protesta. Lo stesso ha fatto la modella polacca Nicole Poturalski, condividendo sui social la denuncia di Amnesty International. Non solo, un altro motivo di preoccupazione per Kaczyński, che da quando è al potere tenta di inasprire le già severe leggi che limitano il diritto all’aborto, arriva da Google: oggi in Polonia la parola più cercata, ancora più di lockdown e coronavirus, è stata “Apostazja”, apostasia, cioè il ripudio, il rinnegamento della propria religione. Uno choc per un Paese profondamente cattolico. Un colpo non indifferente ai vescovi polacchi che all’indomani del pronunciamento della Corte Suprema, controllata dal governo, avevano accolto con <grande soddisfazione> la decisione di rendere illegale l’interruzione di gravidanza anche in caso di gravi malformazioni del feto, vietando di fatto tutti gli aborti: “La vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale ha lo stesso valore per Dio e dovrebbe essere ugualmente protetta dallo Stato”, ha dichiarato ieri il presidente della Conferenza episcopale polacca (Cep), monsignor Stanisław Gądecki.“Ogni persona di coscienza retta si rende conto di quanto sia una barbarie inaudita negare il diritto alla vita a una persona, soprattutto a causa delle sue malattie”.
Dopo la sentenza, l’aborto è consentito in Polonia solo quando la gravidanza minaccia la salute della donna o è il risultato di stupro o incesto. I dati del ministero della Salute evidenziano che 1.110 aborti legali sono stati effettuati in Polonia nel 2019, principalmente a causa di difetti congeniti del feto. Le proteste delle donne continueranno nelle prossime ore e mercoledì è stato indetto uno sciopero nazionale e una marcia di protesta a Varsavia.