20 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Paolo Mastrolilli

La rivolta dei padri nobili del partito. Il generale: «Voterò per Biden». Ma il presidente ha il 96% di approvazione tra gli elettori conservatori

Dall’inviato a New York. Delle due l’una: o il Partito repubblicano ha abbandonato Trump, e dietro le quinte già cerca un nuovo leader capace di tornare a incarnare gli ideali di Lincoln, oppure lui lo ha dirottato e ricostruito a sua immagine e somiglianza, scippandolo all’establishment di cui se ne frega, perché tanto dalla sua parte ci stanno gli elettori. Il dilemma è evidente nei fatti, perché a questo punto tra i padri nobili del Grand Old Party, ma anche tra gli spalleggiatori un tempo più influenti, con Donald non ce n’è rimasto nemmeno uno.
Era noto che nel 2016 l’ex presidente Bush figlio non aveva votato Trump, ma questo forse era dipeso da come aveva maltrattato il fratello Jeb in campagna elettorale, e come aveva criticato la guerra in Iraq come l’errore più stupido della storia Usa. Ora però George ha visto Donald all’opera per quattro anni, e sulla base dei fatti starebbe considerando di votare Biden, come rivela il «New York Times». Stesso discorso per l’ultimo candidato presidenziale repubblicano, Mitt Romney, che nel 2016 aveva scritto sulla scheda il nome di sua moglie Ann, e poi è stato l’unico senatore a votare per l’impeachment. Il penultimo candidato alla Casa Bianca, John McCain, era stato attaccato da Trump perché si era lasciato catturare in Vietnam, mentre lui era a casa grazie a un certificato medico improbabile. Il «Maverick» lo aveva ripagato bocciando la cancellazione di Obamacare, e la sua vedova Cindy sta già pianificando con Biden la forma migliore per appoggiarlo. L’ex vice presidente Cheney osserva un silenzio assordante, ma sua figlia Liz, terza nella graduatoria della leadership repubblicana alla Camera, non perde occasione per criticare Donald. L’ultima volta lo ha fatto sabato, per il ritiro dei soldati dalla Germania, e visto lo stretto rapporto col padre, pochi dubitano che parli anche a suo nome.
Colin Powell, primo segretario di Stato nero, ha detto ieri alla Cnn che voterà Biden, mentre è noto che nel 2016 Condoleezza Rice non aveva appoggiato Trump. Assordante poi è anche il silenzio degli ultimi due Speaker della Camera, Ryan e Boehner, che non hanno mai sostenuto Donald.
Queste figure rappresentano l’establishment del Partito, e il presidente è quasi felice della loro opposizione, perché si era candidato contro la politica che impersonano. Ora però si sta allungando anche la lista dei suoi collaboratori più stretti, un tempo elogiati, che lo abbandonano. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale Bolton, pur non testimoniando all’impeachment, ha scritto un libro così dannoso che il capo della Casa Bianca ha fatto ricorso ai legali per bloccarne la pubblicazione. Più recenti le critiche dell’ex segretario alla Difesa Mattis e dell’ex capo di gabinetto Kelly, che hanno accusato Trump di violare la Costituzione, anche la richiesta di schierare 10.000 soldati in strada contro i manifestanti, sostenuti da una schiera di generali come gli ex leader degli Stati Maggiori Riuniti Mullen e Dempsey, e l’uomo che aveva preso bin Laden, l’ammiraglio McRaven.
All’interno della Casa Bianca la consigliera Kellyanne Conway deve fare i conti ogni giorno col marito George, che guida il gruppo dei Repubblicani contro Trump, provocandolo con video urticanti. Con lui lavora la schiera dei neocon, capeggiati da Bill Kristol, ostili a Donald perché incarna l’antitesi dei valori democratici a cui hanno dedicato la vita. Qualche crepa emerge anche tra gli evangelici, viste le critiche di Pat Robertson dopo la foto con la Bibbia in mano, e la totale mancanza di empatia davanti alle legittime proteste razziali. Tra media e commentatori Matt Drudge e Ann Coulter hanno scaricato Donald, Ann perché non è abbastanza duro sull’immigrazione, e lui spesso si lamenta della Fox News del suo alleato Murdoch, che cerca di tenere il piede in due scarpe. Con Trump sono rimasti i senatori McConnell, Cruz, Graham, e Cotton, che punta alla Casa Bianca nel 2024 con la stessa base e agenda, ma più sofisticato. Donald scrolla le spalle, perché la sua approvazione tra gli elettori repubblicani è al 96%, e se l’economia si riprende dal collasso del virus pensa di poter attirare anche gli indipendenti. Se il suo calcolo è sbagliato, però, il Gop andrà incontro a una resa dei conti con gli «enabler» e una ricostruzione che non viveva dall’epoca di Nixon. —

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