Fonte: La Stampa
Il bollettino di primavera della Commissione conferma: nel 2015 il pil italiano salirà appena dell’0,6%, soprattutto grazie alla domanda esterna, ma l’anno prossimo si arriverà all’1,4%
Ritorno alla crescita sotto forma di ripresina, conti pubblici imbrigliati sebbene con qualche fattore di rischio, inflazione in ripresa, disoccupazione purtroppo ancora in zona dramma. L’Europa guarda all’Italia e vede un sistema che comincia a spingersi oltre la metà del guado. Nel 2015 il pil salirà appena dell’0,6%, soprattutto grazie alla domanda esterna, ma l’anno prossimo si arriverà all’1,4%, si stima per merito degli investimenti pubblici finalmente rimessi in moto e i consumi destinati a consolidarsi.
La Commissione Ue rileva nel suo bollettino di primavera pubblicato stamattina che il debito ha toccato il massimo nel 2014 (132,1% del pil) e che una lenta discesa è cominciata (130,6 nel 2016). Accetta anche l’obiettivo del 2% del pil indicato dal governo per il prossimo esercizio, ma avverte: «Il deficit strutturale (al netto di ciclo e una tantum) peggiora leggermente». E «permangono rischi per queste prospettive di bilancio collegate a possibili manovre espansive aggiuntive annunciate nel Programma di Stabilità e non ancora presentate nei dettagli». Non è infine contemplato il possibile effetto del pronunciamento della Corte Costituzionale sui tagli alle pensioni. Bruxelles chiederà informazioni a stretto giro. In generale, una situazione congiunturale migliorata e le prime riforme concrete attuate da anni danno un «aiutino» alla squadra di Matteo Renzi, è un chiaro segnale di incoraggiamento che – purtroppo – non fa venire meno le criticità.
Il commissario europeo agli affari economici Pierre Moscovici ha però sottolineato che la sfida maggiore per l’Italia resta l’elevato debito «con la crescita che resta debole. Perciò bisogna articolare una politica di bilancio prudente con un’agenda di riforme che resta ambiziosa». Sul buco nei conti aperto dalla sentenza della Consulta sulle pensioni chiarisce: «È competenza delle autorità italiane dire quali sono le misure che intende prendere per compensare le perdite e garantire che l’Italia resti nella pista prevista del Patto di stabilità».
Al di là di tutto, è la situazione del mercato del lavoro ad oscurare il quadro. Nel 2014 è rimasto a casa il 12,7 per cento della forza lavoro: nel biennio appena cominciato il dato previsionale scende al 12,4, non un gran che, anche se il dato migliora rispetto ai calcoli invernali.
I numeri dipingono bene la situazione. Cresce l’occupazione (+0,6 nel 2015) ma la disoccupazione resta congelata sulle alte vette. Vuol dire che la ripresa non è in grandi di rimettere in moto i meccanismi virtuosi, che le imprese – oggi introno al 60 per cento della loro capacità produttiva – stanno riprendendo aria senza aprire nuovi varchi. Il vero cruccio del governo è, e resterà per qualche anno, la situazione sul mercato del lavoro. Buono che «la pressione al rialzo del costo del lavoro è limitata dai concreti interventi sul cuneo fiscale».
Crescita. Dopo essere andato sotto di quattro decimi di punto nel 2014, il pil ritrova il segno positivo che non si vedeva dal 2011. L’anno prossimo andrà all’1,4 per cento, mezzo punto sotto la media dell’Eurozona. Ci si attende un andamento incoraggiante dell’export e un calo degli investimenti nelle costruzioni nei prossimi dodici mesi. «La secca caduta dell’euro potrebbe comportare un aumento di competitività più alto del previsto». Ma crea anche evidenti rischi per l’export.
Inflazione. Toccato il fondo. Il 2015 poterà un aumento dei prezzi dello 0,2 per cento che sarà dell’1,8 per cento nel 2016. Il dato, però, considera per scontato l’aumento dell’Iva che il governo ha messo come misura di salvaguardia per rispettare gli obiettivi di bilancio. Roma sta cercando di scongiurarlo.
Deficit. Nel 2014 siamo saliti al tre per cento. la caduta della spesa per interessi ha solo marginalmente bilanciato l’erosione del surplus primario. Nel 2015 il deficit dovrebbe andare al 2,6 per cento e scendere al 2 per cento. La spesa primaria crescere dll’1,3 per cento come conseguenza degli «80 euro» contribuendo ad un aumento generalizzato degli esborsi di stato. Richiede una verifica la sensazione che questo numeri incorporino l’aumento dell’Iva a mo’ di salvaguardia. Il che richiederà altro lavoro sull’asse Roma-Bruxelles. Come quello che comporteranno gli effetti della sentenza della Consulta sulla Riforma Fornero.
L’Europa. L’Eurozona crescerà nel 2015 dell’1,5 per cento e dell’1,9 nel 2016. Meno dell’Unione tutta insieme, che farà rispettivamente 1,8 e 2,1. Locomotive saranno l’Irlanda (3,5) e la Polonia (3,4). La Grecia è ancora accredita di un più 2,9 per il 2016 sul quale è lecito avere dubbi. Inflazione per tutti all’1,5. Fine rischio deflazione, salvo colpi di scena, per il dato avvicina alla soglia in cui la Bce potrebbe cambiare la politica monetaria e riprendere a controllo il costo del denaro. Il che potrebbe accadere dal 2017. Disoccupazione all’11 e al 10.5, nell’Eurozona, nei due anni. L’Italia resta fuori linea.