Fonte: Corriere della Sera
La festa del lavoro
Domani si festeggia il Primo Maggio e oggi avremo la stima preliminare dell’Istat che ci dirà se anche il primo trimestre 2019 ha fatto registrare crescita zero. Al di là però dei decimali l’anno in corso non promette niente di buono per l’industria italiana a causa del combinato disposto di contrazione dell’export e ristagno della domanda interna. Nei giorni scorsi un’indagine della Uil ha prodotto dati preoccupanti: la cassa integrazione ordinaria e straordinaria è aumentata nel primo trimestre del ’19 del 6,1% rispetto allo stesso periodo del ‘18. Complessivamente sono 130 mila i posti di lavoro tutelati dalla Cig. Ma accanto ai dati più freschi si segnalano anche vecchie crisi mai risolte. I nomi di queste aziende sono diventati familiari anche al grande pubblico (Antonio Merloni, Alcoa, ex Fiat di Termini Imerese, Piaggio Aerospace) proprio perché rilanciati periodicamente dalle cronache di questi anni. Sono casi-limite la cui soluzione si presenta ardua anche perché i sindacati non percepiscono da parte del governo né attenzione né competenza.
Termini Imerese, il sogno dell’elettrico
Il futuro dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, oggi targato Blutec, è appeso a un filo. Si aspetta il pronunciamento del tribunale dopo l’apertura dell’indagine a carica dell’imprenditore Roberto Ginatta e dell’amministratore delegato Cosimo Di Cursi, il loro arresto e l’avvio della procedura di sequestro. Grazie a un provvedimento ministeriale di deroga i 700 addetti hanno visto il prolungamento della cassa integrazione ma i sindacati chiedono “un processo di reindustrializzazione”. In verità in un passato anche recente i progetti industriali ideati per Termini si sono susseguiti uno dietro l’altro fino agli ultimi due, la motorizzazione elettrica delle vetture Doblò e i veicoli elettrici a tre ruote delle Poste. Ma probabilmente l’errore fu compiuto a monte, quando ai tempi del ministro Scajola si accettò l’uscita e la deresponsabilizzazione della Fiat e il governo si assunse de facto la gestione dell’impianto scegliendo di restare nel campo dell’automotive e cercando di pescare l’interlocutore giusto. L’arrivo poi di un imprenditore torinese come Ginatta, già fornitore del gruppo Fiat e decisamente spregiudicato, ha reso tutto più aleatorio e il piano finanziato da Invitalia non ha risolto i problemi, anzi Ginatta è accusato proprio di aver distratto parte di quei fondi. Risultato: i lavoratori di Termini sono in cassa integrazione da 10 anni, nessun player serio del settore auto si è fatto avanti in questi anni per investire in Sicilia e oggi si è costretti a ripartire da zero. Resta sullo sfondo sempre l’interesse del gruppo cinese Jiayuan, ma l’inchiesta giudiziaria lo ha spinto a dileguarsi.
Antonio Merloni, il calvario in attesa di un partner
Ci vorrebbero uno o più partner. Anni di crisi dal 2012 ad oggi per la Antonio Merloni e non si vede ancora l’uscita dal tunnel. Dopo essere entrata in amministrazione straordinaria era arrivato un imprenditore privato, Giovanni Porcarelli (J.P.Industries) , a salvare i tre stabilimenti e i 700 addetti con l’idea di restare nel settore e rilanciare la produzione di un gruppo che a sua volta era stato ai tempi d’oro del «bianco» il maggior contoterzista d’Europa (con oltre 3 mila addetti). Investimento complessivo di Porcarelli: 12,2 milioni. Una transazione e uno sconto rispetto alla valutazione fatta di oltre 50 milioni che non è andata giù a otto banche creditrici (Mps,Unicredit, Veneto Banca e altre). Che hanno accusato il ministero di aver svenduto e hanno fatto partire un lunghissimo contenzioso giudiziario. Nei primi due gradi di giudizio le banche hanno visto accolte le proprie istanze ma poi la Cassazione ha rovesciato il verdetto affermando il principio «il prezzo lo fa il mercato». Nel frattempo però lo sviluppo dell’azienda è stato azzoppato visto che nessuna altra banca si è resa disponibile a dare credito e oggi la produzione di lavatrici, frigo e asciugatrici (con il marchio Ardo) prosegue a singhiozzo. Si calcola che durante l’anno lavorino saltuariamente 200 lavoratori dei 750 che sono in Cig dal 2012 ma senza riaprire il dialogo con le banche l’ex Antonio Merloni non ha futuro. Per questo i sindacati sperano che i contatti in corso con due partner industriali vadano a buon fine.
Sul rilancio di Alcoa pesa il costo dell’energia
Lo si era dato per assicurato ma purtroppo non è così. Il futuro dei 650 lavoratori diretti e indiretti dell’ex Alcoa di Portovesme è ancora in bilico e dal 1 gennaio sono sospesi gli ammortizzatori sociali. Pesa come un macigno il costo dell’energia che incide per il 40% e che per rendere profittevole il piano industriale dovrebbe essere al massimo di 27 euro al megawattore. Ma l’aumento dei prezzi registratosi sul mercato internazionale inciderebbe sul bilancio della nuova Alcoa tra gli 80 e i 100 milioni l’anno. Ai tempi del ministro Carlo Calenda era stato raggiunto un accordo che dovrebbe essere aggiornato in collaborazione con Terna e l’authority dell’energia. Il governo però, a detta dei sindacati, «traccheggia» e di conseguenza si aspetta la data del 9 maggio per un incontro al Mise e per avere chiarezza. In queste condizioni l’ingresso nella compagine azionaria dell’imprenditore svizzero Giuseppe Mannina (Sider Alloys) e di Invitalia si è rivelato una condizione necessaria ma non sufficiente e la partenza della nuova realtà industriale continua a slittare. Del resto mercato dell’alluminio è dominato dai grandi player russi, americani e sudafricani e i margini per la sopravvivenza di concorrenti più piccoli sono esigui. Si è parlato anche in questo caso dell’ingresso nel Sulcis di operatori cinesi desiderosi di entrare nel mercato dell’alluminio europeo ma per ora la si può catalogare solo come una voce.
Piaggio Aerospace, il ritardo sui droni
Dal 2 maggio oltre 500 dei mille lavoratori di Piaggio Aerospace andranno in cassa integrazione in attesa di capire quali siano i veri orientamenti del governo, dalle cui scelte dipendono i programmi produttivi dell’azienda ligure. L’ultima riunione tenuta al Mise il 24 aprile ha lasciato insoddisfatti i sindacati che paventano dissidi nell’esecutivo per i dubbi che i 5 Stelle hanno sempre manifestato in merito al finanziamento delle spese per la difesa. Se così fosse sarebbe un pasticcio perché si tratta di una realtà industriale che — a differenza di molte altre in crisi — può stare tranquillamente sul mercato. «Finora abbiamo assistito solo a rimpalli — sostiene Alessandro Vella, segretario di Fim-Cisl Liguria —. E a mio giudizio l’ultima riunione al Mise è servita solo per buttare la palla in tribuna. Lo dimostra il bando del commissario straordinario Nicastro per la ricerca di investitori interessati sia al ramo civile che a quello militare». La crisi si è acuita a fine 2018 quando con la legge Marzano è stata spossessata la proprietà, il fondo sovrano Mudabala di Abu Dhabi, che si è rifiutato di ricapitalizzarla. Quantomeno per stabilizzare le prospettive ora occorrerebbe prendere alcune decisioni. La prima riguarda gli impegni di spesa per acquistare velivoli di pattugliamento P180 che servono per rinnovare quelli esistenti, la seconda investe le forniture dei motori MB339 e l’ultima riguarda i droni. Si parla di un consorzio europeo per la realizzazione di un prototipo comune ma nel frattempo sembra sfumata un’analoga commessa araba destinata ad Abu Dhabi.