Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
Non è chiaro se il piglio del ministro Salvini rifletta la compattezza del governo o serva a velarne le divisioni, e se con la loquacità sugli sbarchi sia stato coperto il dissenso sulle misure economiche
Ufficialmente, la strategia della «sola voce» è quella vincente. Eppure, sembra proprio che cominci a mostrare la corda. Non sui migranti, perché il calcolo di moltiplicare i voti con la linea dura è trasversale. Ma sull’economia, terreno scivoloso per qualunque tipo di propaganda. È lì che l’ambizione di ricucire il Sud egemonizzato dal Movimento Cinque Stelle col Nord a trazione leghista, rischia di rivelarsi un miraggio.
Il vicepremier grillino Luigi Di Maio è costretto a inseguire il sogno del «decreto di dignità» e del reddito di cittadinanza. E incassa gli applausi dell’ex capo della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, quando espone i suoi piani sull’Ilva di Taranto. Probabilmente non ha scelta, incalzato dalla «sinistra» del presidente della Camera, Roberto Fico, e da un Beppe Grillo che teme la subalternità palpabile alla Lega. Ma deve fare i conti con l’altro vicepremier. Matteo Salvini non si limita a sfruttare il temporaneo vento favorevole della tolleranza zero verso i migranti, e della polemica antieuropea.
Il leader leghista sconfina quasi per inerzia su terreni formalmente non di sua competenza. E, soprattutto, deve rispondere a una base che ha pulsioni diverse da quelle dei Cinque Stelle; e che vede nelle misure accarezzate da Di Maio un ritorno dell’assistenzialismo. Salvini sa che arginare il precariato con le ricette del M5S può provocare una rivolta dei piccoli imprenditori. E dunque insiste per reintrodurre i voucher.
Con uno sforzo sempre più acrobatico, suggerisce di «migliorare» in Parlamento i provvedimenti proposti da Di Maio. L’impressione è che l’attrito possa accentuarsi; e che stavolta tocchi interessi e visioni culturali difficilmente componibili. Il vertice di ieri a Palazzo Chigi era affollato. Oltre al premier Giuseppe Conte, c’erano Di Maio e Salvini, il ministro dell’Economia Giuseppe Tria e, collegata per telefono, la titolare della Difesa, Elisabetta Trenta.
Alla fine, come è successo spesso, la versione dell’incontro è stata offerta dal ministro dell’Interno. Salvini doveva tamponare una potenziale falla nel suo potere assoluto in tema di sicurezza: quella aperta da Elisabetta Trenta.
La titolare della Difesa aveva dato l’altolà al Viminale che voleva fermare le navi militari con i migranti. Ebbene, il ministro dell’Interno ha precisato che «il governo lavora e agisce con una sola voce». Parole che di fatto zittiscono Trenta, scelta dai Cinque Stelle e assente dal vertice. «Non c’era neanche in spirito», ha aggiunto Salvini, a conferma di un ruolo a 360 gradi.
Non è chiaro, tuttavia, se il piglio del ministro rifletta la compattezza del governo, o serva a velarne le divisioni; e se con la loquacità sugli sbarchi sia stato coperto il dissenso sulle misure economiche. La presenza inaspettata di Tria fa capire che non si parlava solo del tema «facile» dei migranti: sebbene sia quello sul quale l’Italia rischia l’isolamento in Europa. Anzi, a sentire Di Maio il problema sarebbe stato appena accennato: almeno con lui. Sullo sfondo rimangono reddito di cittadinanza, flat tax, nomine negli enti pubblici. E voucher.
Soprattutto, riemerge la fretta di M5S e Lega di tradurle in provvedimenti entro l’anno: entrambi debbono dimostrare di mantenere almeno parzialmente le promesse elettorali distribuite a piene mani. Ma riaffiora il problema delle coperture finanziarie, che il ministro Tria non smette di fare presente, con un occhio alla legge di bilancio e alle reazioni dei mercati. Lo scontro va oltre il rispetto del «contratto» di governo. E non sarà facile da diplomatizzare..