16 Settembre 2024

La transizione ecologica e digitale, la sostenibilità sociale e ambientale sono passaggi epocali che cambieranno il volto delle aziende, peraltro già chiamate a renderne conto in varie forme. Ma che cosa accadrà realmente al mondo delle professioni? Sono consapevoli commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati, esperti di varie materie che il salto di paradigma per loro sarà addirittura più radicale e impegnativo? Stiamo parlando di un milione e 400 mila persone che, secondo l’ultimo Rapporto sulle libere professioni in Italia, a cura di Confprofessioni, costituivano, nel 2021, il 28,5 per cento del lavoro indipendente. Le professioni che una volta avremmo definito liberali sono chiamate ad accompagnare le istituzioni, le piccole e medie aziende, gli individui lungo il sentiero stretto e impervio della sostenibilità. Il loro ruolo sarà ancora più importante, centrale, decisivo. Andrà al di là della mera consulenza contrattuale su temi specifici, dal Fisco al Lavoro, e si estenderà a una dimensione di advisor della transizione a tutto tondo.
Questo formidabile allargamento dell’orizzonte delle prestazioni non potrà costituire un’attenuante — e tantomeno un’esimente — se chi consiglia non sarà compliant sui temi dell’inclusione, della diversità, della riconoscibilità sociale del proprio operato. I professionisti dovranno essere ancora più allineati e preparati delle aziende di cui sono preziosi consiglieri. La transizione inciderà profondamente anche sui destini delle loro società, non solo su quelli dei clienti. Anche perché sempre di più, nelle Dichiarazioni non finanziarie, ma non solo in quelle, le aziende includeranno gli studi professionali nelle loro filiere di stakeholder. Questa consapevolezza non è così diffusa. I residui corporativi sono come banchi nebbiosi che riducono lo sguardo prospettico delle categorie (giornalisti inclusi) e assumono consistenze protettive e fuorvianti. La giornata organizzata a Cernobbio, il 9 maggio scorso, da The European House Ambrosetti, Teamsystem ed Euroconference sul futuro delle professioni, ha fornito utili spunti. In positivo (molti) e in negativo (pochi ma da non sottovalutare).

Il fattore generazionale
Come prima cosa il fatto che gli studi professionali attraggano meno giovani che in passato dovrebbe suscitare qualche discussione in più. Non una semplice presa d’atto. È scesa significativamente la quota di laureati magistrali, in discipline economiche e giuridiche, che nei cinque anni successivi alla discussione delle loro tesi scelgono di entrare in uno studio. Nel 2021 sono stati il 30 per cento in meno rispetto al 2014. Un divario particolarmente significativo nell’area giuridica. Nel 2014 sei su dieci sceglievano la libera professione. Nel 2021 solo quattro.
Il «Libro verde delle professioni» individua alcune tendenze strategiche. Il grande spazio di mercato che si apre è legato all’universo delle piccole e medie imprese che avranno sempre più bisogno di una vera e propria partnership con i loro consulenti. Non una semplice collaborazione professionale bensì la condivisione di obiettivi sul cui raggiungimento è in gioco la credibilità di entrambe le parti, non di una sola. Il lavoro di studio tenderà a privilegiare sempre di più le mansioni ad alto valore aggiunto. Le applicazioni di intelligenza artificiale, che il professionista medio guarda con un misto di preoccupazione e sufficienza, possono essere al contrario estremamente utili per liberare il tempo del pensiero e le modalità di una consulenza sempre più personalizzata. C’è poi il non secondario tema delle dimensioni delle organizzazioni. Essere piccoli significa oggi — a differenza di un passato di enfasi sulla bellezza delle boutique e sul romantico e solitario ruolo quasi cavalleresco del consulente — non avere nemmeno la lontana percezione di quanto saranno decisive le capacità di investimento nella digitalizzazione. Quasi una questione di vita o di morte. Non a caso il profilo più ricercato, e spesso non trovato, è quello dell’esperto informatico che nulla ha a che vedere, anche culturalmente, con l’universo delle professioni liberali. La rete di organizzazioni non è più una scelta, bensì una necessità non più rinviabile.
E non basta invocare incentivi fiscali per scoprirne la convenienza. Il «Libro verde delle professioni» parla di un nuovo mindset del mondo delle professioni nel quale la tecnologia non è più solo uno strumento, un acceleratore, bensì un fattore abilitante. Spietato. Altri passaggi rendono epocale questo cambiamento di pelle. La realizzazione dei progetti del Piano nazionale di resilienza (Pnrr) offre alle professioni l’occasione di «rendersi interlocutori e facilitatori chiave nel dialogo tra le parti civili e le istituzioni». Ma non sono ancora sufficientemente «riconoscibili e riconosciuti» in questo ruolo. La riforma fiscale — ed è questa la novità più rilevante e persino rivoluzionaria degli ultimi tempi — è sostanzialmente scritta insieme ai commercialisti e ai consulenti del lavoro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *