Fonte: La Stampa
di Emanuele Bonini e Francesco Olivo
Tempi lunghi per l’estradizione. Il leader non tornerà in Spagna prima di 45 giorni
Si svolgerà il 17 novembre alle 14 la prima udienza davanti alla Camera di consiglio del tribunale di primo grado belga, che deve decidere sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo nei confronti del deposto presidente catalano Carles Puigdemont e di altri quattro suoi ministri in libertà vigilata nel Paese. Lo riportano diversi media belgi. La Spagna lo aspetta per spedirlo in carcere, completando così la detenzione integrale del governo catalano deposto da Rajoy. Ma è difficile che la «consegna» possa avvenire prima di 45 giorni, andando quindi oltre le elezioni, fissate per il 21 dicembre, alle quali il presidente deposto vorrebbe presentarsi. «Non fuggo dalla giustizia», aveva dichiarato Puigdemont nella conferenza stampa appena arrivato a Bruxelles e per dimostrarlo ieri mattina, dopo l’arrivo del mandato di cattura europeo, si è presentato in un commissariato di polizia. Dopo un interrogatorio, il giudice lo rimette in libertà, con la condizione di non poter lasciare il Paese. E il leader catalano non lo lascerà, d’altronde ha scelto con cura la sua meta, dove potrebbe restare per molti giorni a causa delle complicate procedure giudiziarie e, aspetto non secondario, per la composizione del governo locale, che comprende anche un partito, quello fiammingo, con affinità con i catalani.
Carles Puidgemont e i suoi quattro ex-ministri della Catalogna «si sono consegnati alla polizia federale» belga. È l’annuncio con cui il portavoce della procura di Bruxelles, Gilles Dejemeppe, rompe il silenzio di una zona della città ferma per la domenica. Ma non è una domenica come le altre, perché ieri ha preso il via il procedimento legale che potrebbe aprire le porte del carcere per Clara Ponsatí, Mertitxell Serret, Antoni Comin, Lluís Puig e lo stesso Puigdemont.
I cinque politici si sono presentati alla polizia alle 9,17 del mattino, e sono stati presi subito in custodia dalla giustizia belga. Tutti sono stati privati della libertà per circa 14 ore. Poi la decisione: libertà condizionata, ritiro del passaporto e comunicazione costante con i magistrati, sul luogo di permanenza. Puidgemont e gli altri sono stati condotti al palazzo di giustizia a bordo di un furgone della polizia, per essere ascoltati, alla presenza degli avvocati, dagli uomini della procura. Gli interrogatori sono iniziati verso le 14,30, e i cinque accusati sono stati sentiti uno per uno, per cinque incontri a porte chiuse di circa un’ora ciascuno.
Gli scenari
I tempi non saranno brevissimi. Il Tribunale di prima istanza avrà 15 giorni per decidere se rendere esecutivo il mandato, poi eventualmente saranno possibili i ricorsi alla Corte di appello ed eventualmente ancora alla Cassazione. Previsto in ciascuno di questi passaggi un massimo di 15 giorni per le valutazioni. La questione di un’eventuale consegna di Puidgemont e compagni alla Spagna sembra dunque rinviata almeno di 45 giorni.
Le elezioni
Politica e giustizia si mischiano, incrociandosi inevitabilmente in una data: il 21 dicembre. Le elezioni anticipate catalane, convocate dal premier Rajoy in nome della pacificazione, saranno un test a dir poco anomalo per una serie di fattori. Uno dei candidati alla presidenza della Generalitat potrebbe essere proprio Carles Puigdemont, che però mette una condizione al suo schieramento: «Ci sarò solo se ci presenteremo con una lista unitaria». Il suo partito, il PDeCat ci sta, ma gli alleati di «Esquerra repubblicana de Catalunya», che volano nei sondaggi, per ora sono contrari. Il loro leader, Oriol Junqueras, si trova in carcere a Madrid, ma prima di finirci aveva bocciato l’ipotesi di lista unica: «Ci conviene andare separati, prenderemo più voti». Poi, però, praticamente tutto il governo è finito in prigione e le pressioni del mondo indipendentista sono cresciute. Si tenta di coinvolgere anche l’estrema sinistra della Cup. I sondaggi dicono che la maggioranza assoluta dei secessionisti è a un passo, se così fosse per la Spagna sarebbe un disastro: sciolto un parlamento, se ne ritroverebbe un altro, ancor più determinato nella sua sfida all’unità del Paese.