Di ripresa dei colloqui sulla guerra in Ucraina ancora non se ne parla: il presidente russo e quello turco per ora sondano la pista «energetica»
Per l’Ucraina non c’è stato tempo. Nell’incontro bilaterale di un’ora e mezza che Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan hanno avuto giovedì 13 ottobre in Kazakhstan si è parlato di scambi commerciali, questioni politiche e forniture di gas. «La discussione sul rilancio delle relazioni commerciali ed economiche ha esaurito tutto il tempo», ha spiegato al termine del colloquio Jurij Ushakov, consigliere del Cremlino per la politica estera. Eppure lui stesso, alla vigilia, aveva anticipato per giovedì 14 ottobre una proposta del presidente turco, che starebbe cercando di organizzare negoziati tra Mosca e l’Occidente proponendosi come mediatore.
Il riserbo (probabile) sui colloqui
È più probabile che su parte del colloquio tra i due presidenti per ora venga mantenuto il riserbo. «Il nostro obiettivo è fermare lo spargimento di sangue il prima possibile», aveva detto Erdogan alla vigilia della conferenza tra i leader di diversi Paesi asiatici ad Astana, la capitale kazaka tornata il mese scorso al vecchio nome dopo essersi chiamata per qualche tempo Nur-sultan, in onore dell’ex presidente Nazarbaev. Il mese prossimo ci sarà da rinnovare l’accordo tra Nazioni Unite, Turchia, Russia e Ucraina per proseguire l’export di grano dai porti ucraini. Altri piccoli passi avanti vengono compiuti sul fronte degli scambi di prigionieri.
La rotta del Mar Nero
Al presidente turco, che vorrebbe espandere il raggio d’azione della propria diplomazia, Putin ha in qualche modo offerto lo spunto dell’energia. Nel corso dell’incontro – e questa è la parte del colloquio resa pubblica – il presidente turco è tornato a proporre di spostare sul Mar Nero il centro degli scambi energetici tra Russia ed Europa, creando un grande hub del gas in Turchia.
Putin parlava a Erdogan nello stesso istante in cui le città ucraine subivano per il quarto giorno consecutivo un’ondata di attacchi missilistici russi. E mentre la controffensiva ucraina nel Sud avrebbe spinto il governatore installato dagli occupanti a Kherson, Vladimir Saldo, a chiedere aiuto a Mosca per consentire agli abitanti della regione di rifugiarsi altrove, con il fronte che si avvicina. Il Governo russo ha accolto la richiesta: uno dei segnali più chiari delle difficoltà di Mosca nelle zone che si è affrettata ad annettersi il 30 settembre. Non sembra credibile pensare che il Cremlino si aspetti di discutere di hub energetici e di gas dall’altra parte del mare finché è in corso una guerra.
Ipotesi gasdotto in Turchia
La Turchia, ha detto Putin ad Astana corteggiando il proprio interlocutore, «è diventata la rotta più affidabile per fornire gas all’Europa». Come se ormai si fosse rassegnato alla perdita dei due Nord Stream, sul Baltico, il presidente russo ha detto che la costruzione di un nuovo gasdotto in territorio turco permetterebbe di stabilizzare i prezzi: «Intendiamo fare della Turchia il più grande hub di gas al mondo», ha affermato Putin rivolgendo l’offerta ai mercati europei, «se sono interessati. Oggi i prezzi sono alle stelle. Potremmo facilmente riportarli alla normalità, indipendentemente dalla politica».
La accuse sugli attacchi a Nord Stream
Prima di partire per il Kazakhstan Putin aveva ipotizzato di far convergere sul Mar Nero i volumi di gas destinati ai gemelli Nord Stream, ormai fermi dopo le esplosioni che hanno danneggiato tre delle quattro linee. Atti di «terrorismo internazionale», ha detto il presidente russo facendo notare che dal blocco dei flussi tra Russia e Germania vengono avvantaggiati Stati Uniti, Polonia e Ucraina.
Esprimendo «incredulità» per l’esclusione di Mosca e di Gazprom – proprietaria dei gasdotti – dalle indagini su quanto accaduto condotte da Germania, Danimarca e Svezia, il ministero degli Esteri russo ha convocato gli ambasciatori di questi Paesi per protestare. E per chiarire che se non verranno coinvolti degli esperti russi, «Mosca concluderà che i Paesi citati hanno qualcosa da nascondere, o stanno coprendo gli esecutori di questi atti terroristici». E non riconoscerà «i pseudo-risultati» dell’inchiesta.