L’«end-game» di Zelensky non è certo invadere la Russia, ma ripristinare la propria indipendenza violata
Da qualche tempo corre — in Italia ma non solo — l’idea che nella vicenda ucraina non sia chiaro quale sia l’end-game, l’obiettivo finale, di Zelensky. E, subito dopo, degli americani. Lo sostengono esperti di politica internazionale, ambasciatori, politici. Dicono che l’obiettivo di Putin è chiaro ma quello di Kiev e della Nato per nulla: si chiedono a cosa puntino e fanno capire che non c’è una strategia. Questa domanda solleva il sospetto che la famosa «nebbia della guerra» abbia offuscato la visione di molti di questi commentatori che denotano, in buona fede o meno, un’incomprensione del conflitto in corso. L’end-game di Volodymyr Zelensky, infatti, è chiaro e dipende dalla caratteristica di quel che sta succedendo.
Il conflitto in Ucraina non è una guerra tra Stati, tra Kiev e Mosca, tra due imperatori uno in un bunker dorato al Cremlino, l’altro in un bunker povero e sotto tiro. Si tratta della guerra di aggressione di una parte e della resistenza a questa brutalità dell’altra. Gli ucraini non vogliono finire sotto il tallone russo, che hanno provato per troppo tempo, e si difendono. Questo è l’end-game di Zelensky: non certo invadere la Russia, non certo arrivare a Mosca e a San Pietroburgo ma ripristinare la propria indipendenza violata. Violata tra l’altro attraverso massacri che rendono praticamente impossibile qualsiasi mediazione e ogni prospettiva di compromesso a breve. Per gli ucraini l’obiettivo è che Putin non riesca a realizzare i propri piani. Punto. Così fa chi si difende da un’invasione.
Saranno poi gli scontri sul terreno a decidere se la resistenza ucraina ce la farà e fino a che punto, a quali costi. Al momento, la prima fase dell’invasione — la conquista di Kiev — è andata male per il Cremlino. E il piano B — la conquista dell’Est e del Sud del Paese — incontra ostacoli crescenti. Difficile sapere se c’è un punto oltre il quale Putin non potrà andare nella gestione disastrosa della sua aggressione. Ma la possibilità che non vinca è reale e questo è l’obiettivo di Kiev: non farlo vincere, il che nei fatti per l’autocrate di Mosca sarebbe una sconfitta. Per gli ucraini, sarebbe difficile considerarla una vittoria, vista la distruzione di vite e di cose che già ora hanno subito. A maggior ragione se, al momento di un’eventuale cessazione dell’invasione, dovessero cedere qualche pezzo di territorio. Ma l’obiettivo degli ucraini è chiaro: respingere gli invasori.
Fondamentalmente, questo è lo stesso obiettivo degli Stati Uniti, dell’Europa, della Nato: non fare vincere Putin. Il che significherebbe costringerlo alla sconfitta: non si lancia un’aggressione del genere, brutale e senza alcuna motivazione, per poi tornare a casa con un pugno di mosche, fosse pure la conservazione della Crimea. Nei giorni scorsi, da Washington è anche arrivato il messaggio del segretario alla Difesa Lloyd Austin, secondo il quale a questo punto si tratta di «indebolire» la Russia. Il che sembrerebbe un passo in più rispetto al semplice respingerla fuori dai confini ucraini. Parecchi analisti hanno criticato l’affermazione di Austin: troppo aggressiva. Ma ci sono due evidenze da considerare. Primo, l’indebolimento di Mosca è in atto dal 24 febbraio, giorno dell’aggressione, quando l’Occidente e i suoi alleati hanno deciso di imporre sanzioni alla Russia. A un Paese che viola ogni norma del diritto internazionale e la stessa carta delle Nazioni Unite, che vuole cambiare le frontiere con la forza e che massacra migliaia di civili va reso il più difficile possibile continuare a farlo, in Ucraina e altrove.
Secondo, la debolezza dello Stato russo è già di fronte a tutti, nell’incapacità di piegare un Paese e una popolazione con molte meno risorse. Un’Armata che si riduce a sparare ai bambini, a mirare ai civili, a bombardare le case perché non riesce a raggiungere i suoi obiettivi militari è diventata il simbolo dell’inconsistenza e della vecchiezza del regime putiniano: inefficienza sostituita dalla brutalità. Un Paese e un esercito moderni non violentano le donne. La chiamata di Austin a indebolire Mosca e il Cremlino è un invito a rendere palese una tendenza in atto e a fare in modo che la Russia non sia una minaccia futura per l’Europa e per il mondo.
Non è detto che gli ucraini ce la facciano. Ma armi per Kiev e sanzioni per Mosca è quello che ci chiedono. Per gli ucraini, l’end-game è chiaro e vogliono raggiungerlo. Il vero interrogativo riguarda l’end-game di Putin.
Il conflitto in Ucraina non è una guerra tra Stati, tra Kiev e Mosca, tra due imperatori uno in un bunker dorato al Cremlino, l’altro in un bunker povero e sotto tiro. Si tratta della guerra di aggressione di una parte e della resistenza a questa brutalità dell’altra. Gli ucraini non vogliono finire sotto il tallone russo, che hanno provato per troppo tempo, e si difendono. Questo è l’end-game di Zelensky: non certo invadere la Russia, non certo arrivare a Mosca e a San Pietroburgo ma ripristinare la propria indipendenza violata. Violata tra l’altro attraverso massacri che rendono praticamente impossibile qualsiasi mediazione e ogni prospettiva di compromesso a breve. Per gli ucraini l’obiettivo è che Putin non riesca a realizzare i propri piani. Punto. Così fa chi si difende da un’invasione.
Saranno poi gli scontri sul terreno a decidere se la resistenza ucraina ce la farà e fino a che punto, a quali costi. Al momento, la prima fase dell’invasione — la conquista di Kiev — è andata male per il Cremlino. E il piano B — la conquista dell’Est e del Sud del Paese — incontra ostacoli crescenti. Difficile sapere se c’è un punto oltre il quale Putin non potrà andare nella gestione disastrosa della sua aggressione. Ma la possibilità che non vinca è reale e questo è l’obiettivo di Kiev: non farlo vincere, il che nei fatti per l’autocrate di Mosca sarebbe una sconfitta. Per gli ucraini, sarebbe difficile considerarla una vittoria, vista la distruzione di vite e di cose che già ora hanno subito. A maggior ragione se, al momento di un’eventuale cessazione dell’invasione, dovessero cedere qualche pezzo di territorio. Ma l’obiettivo degli ucraini è chiaro: respingere gli invasori.
Fondamentalmente, questo è lo stesso obiettivo degli Stati Uniti, dell’Europa, della Nato: non fare vincere Putin. Il che significherebbe costringerlo alla sconfitta: non si lancia un’aggressione del genere, brutale e senza alcuna motivazione, per poi tornare a casa con un pugno di mosche, fosse pure la conservazione della Crimea. Nei giorni scorsi, da Washington è anche arrivato il messaggio del segretario alla Difesa Lloyd Austin, secondo il quale a questo punto si tratta di «indebolire» la Russia. Il che sembrerebbe un passo in più rispetto al semplice respingerla fuori dai confini ucraini. Parecchi analisti hanno criticato l’affermazione di Austin: troppo aggressiva. Ma ci sono due evidenze da considerare. Primo, l’indebolimento di Mosca è in atto dal 24 febbraio, giorno dell’aggressione, quando l’Occidente e i suoi alleati hanno deciso di imporre sanzioni alla Russia. A un Paese che viola ogni norma del diritto internazionale e la stessa carta delle Nazioni Unite, che vuole cambiare le frontiere con la forza e che massacra migliaia di civili va reso il più difficile possibile continuare a farlo, in Ucraina e altrove.
Secondo, la debolezza dello Stato russo è già di fronte a tutti, nell’incapacità di piegare un Paese e una popolazione con molte meno risorse. Un’Armata che si riduce a sparare ai bambini, a mirare ai civili, a bombardare le case perché non riesce a raggiungere i suoi obiettivi militari è diventata il simbolo dell’inconsistenza e della vecchiezza del regime putiniano: inefficienza sostituita dalla brutalità. Un Paese e un esercito moderni non violentano le donne. La chiamata di Austin a indebolire Mosca e il Cremlino è un invito a rendere palese una tendenza in atto e a fare in modo che la Russia non sia una minaccia futura per l’Europa e per il mondo.
Non è detto che gli ucraini ce la facciano. Ma armi per Kiev e sanzioni per Mosca è quello che ci chiedono. Per gli ucraini, l’end-game è chiaro e vogliono raggiungerlo. Il vero interrogativo riguarda l’end-game di Putin.