Fonte: Corriere della Sera
di Francesco Giavazzi
Se scorrete l’elenco degli oltre 600 progetti che i ministeri hanno sottoposto al governo per i finanziamenti del Recovery fund, troverete solo cappotti termici, alta velocità e autostrade, più qualche investimento industriale proposto dalle aziende, dall’Ilva alla Fincantieri. Niente riforme, nè nella scuola, nè nell’università, nè, ci mancherebbe, nel mercato del lavoro
Di che cosa ha più bisogno la nostra scuola? Di dotare ciascuno dei 40.000 edifici scolastici di un cappotto termico, o piuttosto di interventi per ridurre gli abbandoni nella scuola secondaria, o di capire perché, dopo avere assunto negli ultimi 5-6 anni 180.000 insegnanti, il prossimo anno scolastico partirà con 250.000 supplenti? Non avrebbe piuttosto bisogno di scuole aperte il pomeriggio, e magari anche in luglio e di ricominciare le lezioni già oggi, anziché perdere altre due settimane (tre in alcune regioni)? Per ridurre gli abbandoni nelle scuole superiori era stata introdotta nel 2017 l’alternanza scuola-lavoro: l’anno successivo il governo giallo-verde la ridusse drasticamente perché dava fastidio agli insegnanti, aggiungendo compiti che non consentivano loro di limitarsi a ripetere anno dopo anno il medesimo programma. Per agevolare l’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro, in tutta Europa si introdussero vent’anni fa i diplomi triennali. Da allora la riforma del 3+2 in Italia è fallita perché i professori universitari hanno inteso 3+2=4 e si sono limitati a spalmare su cinque anni i corsi quadriennali che facevano prima della riforma. E così lo Stato ha abbandonato la formazione per i nuovi lavori, dal design alla moda, delegandola alle scuole private, dall’Istituto europeo di design alla Marangoni per la moda. Di che cosa ha più bisogno il nostro mercato del lavoro?
Di un’estensione a tutti, indiscriminatamente, della cassa integrazione, come chiede Landini, o di un sistema di sussidi di disoccupazione simile a quello che esiste, ad esempio, in Francia e Germania, riservando la Cassa a quelle imprese che devono affrontare cadute temporanee della domanda? Prima del Covid ogni anno erano circa 300.000 le persone che cambiavano posto di lavoro; il Covid farà esplodere quel numero perché renderà necessaria una profonda riallocazione delle attività produttive. La Cassa illude i lavoratori che finita la pandemia il loro posto di lavoro sarà lì ad aspettarli: in molti casi purtroppo quel posto non ci sarà più ed è meglio prepararsi in tempo. Servono scuole e progetti di formazione che facilitino questa riallocazione. Altrimenti fra un anno assisteremo a un’esplosione della disoccupazione.
Davvero il divario fra il Centro-Nord e il Mezzogiorno dipende dall’assenza di infrastrutture come l’alta velocità fra Napoli e Bari? Non c’entra forse il fatto che da alcune provincie del Mezzogiorno lo Stato è sparito, delegando a mafia, camorra e sacra corona unita la protezione delle attività produttive? Oppure dall’uguaglianza dei salari fra Nord e Sud, che fa sì che il costo del lavoro nel Mezzogiorno spesso sia troppo alto in confronto alla produttività, mentre a Milano, con lo stesso salario, un lavoratore non ce la fa a mantenere una famiglia?
Se scorrete l’elenco degli oltre 600 progetti che i ministeri hanno sottoposto al governo per i finanziamenti del Recovery fund, troverete solo cappotti termici, alta velocità e autostrade, più qualche investimento industriale proposto dalle aziende, dall’Ilva alla Fincantieri. Niente riforme, nè nella scuola, nè nell’università, nè, ci mancherebbe, nel mercato del lavoro. E invece basterebbe partire dai capitoli del Programma nazionale di riforma allegato dal ministro dell’Economia al Def 2020: politiche fiscali a sostegno della crescita, mercato del lavoro, scuola e competenze, produttività, competitività, giustizia. Oppure dal troppo presto dimenticato documento Colao.
La svolta europea c’è stata. I piani proposti dai vari Paesi si inseriranno in un bilancio europeo che arriva al 2027. Non è un caso che la Germania pare si sia riservata di presentare alcuni progetti nel 2021. Pensare di finalizzare un impegno così ampio ad un consenso politico immediato, e non a quello delle generazioni future, mostrerebbe ancora una volta il fiato corto della politica in cerca di dividendi elettorali e non di soluzioni per il Paese.