POLITICA
Fonte: La Stampa
Attendiamoci il seguente percorso: approvazione del testo in discussione a Palazzo Madama entro la fine di questo mese. Poi, alla ripresa di settembre, nuovo round alla Camera
dove, se tutto filerà liscio, a fine ottobre verrà messo il timbro con qualche variazione, magari minima, tale comunque da rendere indispensabile un riesame al Senato. Ed è solo l’inizio…
Alle volte, magari non tutti i giorni, conviene rileggersi la Costituzione. E in particolare l’articolo 138 che fissa le regole per modificarla: tema di cui nei palazzi molto si discute, talvolta purtroppo senza conoscere l’Abc. E cosa si ricava da un diligente ripasso sull’articolo in questione? Anzitutto che cambiare la Carta è come una qualificazione di Champions League, c’è l’andata, c’è il ritorno e conta pure la differenza reti.
Vengono infatti richieste «due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi». Tra Camera e Senato, dunque, almeno 4 letture che, con tutta probabilità, diventeranno 5 perché difficilmente a Montecitorio gli onorevoli deputati si acconceranno a fare da passacarte dei loro colleghi senatori. Per cui attendiamoci il seguente percorso: approvazione del testo in discussione a Palazzo Madama entro la fine di questo mese. Poi, alla ripresa dopo la canicola, nuovo round alla Camera dove, se tutto filerà liscio, a fine ottobre verrà messo il timbro con qualche variazione, magari minima, tale comunque da rendere indispensabile un riesame al Senato. Sottoposti a mille pressioni, i senatori entro novembre metteranno il timbro. E a quel punto scatterà la regola dei 3 mesi: l’inizio dell’anno nuovo per il secondo via libera dei deputati, la primavera per il terzo e definitivo di Palazzo Madama. Fa notare il costituzionalista Stefano Ceccanti: «In quest’ultimo giro le due Camere dovranno limitarsi a un sì o a un no, senza possibilità di apportare emendamenti». Ecco, dunque, il binario sui cui viaggia il trenino delle riforme. Salvo imprevisti, si capisce.
Ad esempio, una bella lite sulla legge elettorale potrebbe complicare i piani del governo. Già, perché tra una lettura e l’altra della riforma costituzionale si affronterà il passaggio finale dell’«Italicum» in Senato, che verrà a maturazione dopo l’estate (sebbene gli ultimi accordi tra Berlusconi e Renzi prevedano che se riprenda l’esame entro fine mese). Se l’impianto venisse stravolto per venire incontro a Grillo, l’ex Cavaliere sarebbe nella condizione di vendicarsi ostacolando le riforme costituzionali al secondo giro…
Poi c’è la differenza reti, vale a dire le maggioranze parlamentari richieste per cambiare la Costituzione. Torniamo perciò a rileggere cosa sta scritto all’articolo 138: alla prima votazione è sufficiente una maggioranza semplice, come per qualunque altra legge. Invece alla seconda si richiede che sia «assoluta», vale a dire almeno la metà più uno dei componenti. In Senato, dove la situazione è più critica, servono 161 voti, traguardo alla portata. Sennonché poi basterebbero le firme di soli 64 senatori (i grillini più un manipolo di «cani sciolti») per innescare un referendum popolare sulla nuova Costituzione. In alternativa, 500 mila elettori o 5 consigli regionali. Sempre dalla (ri)lettura istruttiva del 138 si apprende che non ci sarebbe modo di disinnescare il referendum con trucchi largamente adottati negli anni recenti, tipo far mancare il quorum, dal momento che nei referendum costituzionali il quorum non esiste: perfino se alle urne si recassero pochi milioni di italiani, quel referendum sarebbe perfettamente valido. Quando si potrebbe eventualmente tenere? Non prima dell’autunno 2015, forse nei primi mesi del 2016. Perché (anche qui soccorre Ceccanti) scatterebbe a quel punto la legge 352 del 1970, che fissa un timing di circa sei mesi relativo ai vari adempimenti referendari.
L’unico modo per non fare ricorso al popolo, e garantire alla riforma un’immediata attuazione, è indicata dal solito 138. Consiste in una larga approvazione nella seconda lettura, e in entrambi i rami del Parlamento. A Renzi serviranno 421 voti alla Camera e 214 al Senato. Sulla carta, potrebbe farcela grazie a Forza Italia. Purché tra i nostri eroi che siedono in Parlamento non s’insinui il terrore di essere tutti quanti mandati a casa, con nuove elezioni, subito dopo il varo della Carta riformata. Per cui, immaginando come vanno le cose, già tutti danno per scontato che il quorum dei due terzi non verrà raggiunto, e gli onorevoli si prolungheranno la vita fino al 2017. Nella segreta speranza di maturare i 4 anni, 6 mesi e un giorno che darebbero loro diritto alla pensione.