I media e i social diffondono le foto dei più piccoli sperando così di rintracciare le loro famiglie. Si scava a mano per ore e si sposta un pezzetto alla volta per aprire un varco
Bambini. Esserini salvi nell’incastro assurdo di enormi blocchi di cemento, piccole esistenze in bilico fra una trave e un tetto, vocine che invocavano aiuto sotto cumuli di macerie. Appena il rombo spaventoso di quel mostro ha fatto silenzio e la polvere si è posata, la prima parola d’ordine fra i superstiti è stata «bambini». Tutti a ripetersi l’un l’altro di «cercare i bambini» fra le case accartocciate. Ed eccoli, i piccoli salvati. Sono tantissimi e sono stati gli unici, ieri, capaci di strappare un sorriso o lacrime di gioia a chi li ha visti riemergere dai palazzi collassati.
I video dei salvataggi hanno fatto il giro del mondo. Abbracci. Applausi. Preghiere. E loro — i bimbi — con quel punto interrogativo stampato in faccia mentre si guardavano intorno in quel nuovo mondo raso al suolo: in che posto sono finito? Dai social approda sulla piazza mondiale del web una bimbetta che avrà due-tre anni. Infilata in un pigiamino bianco e rosa avanza gattonando, con le manine che affondano nella polvere e nei calcinacci. Esce, non si sa come, da un buco nero spaventoso e sulla sua testa c’è una parete di cemento enorme. Lei avanza veloce verso la luce della torcia e per fortuna non può pensare a quello che invece i soccorritori temono di più in queste situazioni: le scosse di assestamento. Basterebbe anche un piccolo sussulto e resterebbero tutti schiacciati.
In caso di terremoto è benedetto il pianto acuto dei neonati che, come ieri, ha guidato molte ricerche andate a buon fine. Il silenzio scandisce gli interventi. Zitti tutti: si sente una voce proprio sotto i piedi di una squadra di soccorso. E dopo ore di lavoro per aprire un piccolissimo varco, ecco lei: una bambina che avrà una decina d’anni e che si presenta alla sua nuova vita con una montagna di capelli grigio-calcinacci. Salva. Ancora silenzio. Stavolta è un ragazzino, a chiamare. Lo trovano completamente sepolto — a parte la testa — da pezzi di muro sbriciolato nel crollo. Si scava a mano, con prudenza. Si sposta un pezzetto dopo l’altro finché non è libero il torace, poi la vita, poi le gambe…L’applauso finale scarica la tensione, l’ambulanza se ne va verso l’ospedale più vicino.
E a proposito di ospedali: al Al-Razi Public Hospital di Aleppo, in Siria, i medici raccontano che molti dei bambini estratti dalle macerie e portati da loro non hanno i genitori al seguito. Stessa situazione in Turchia da dove Twitter e Instagram diffondono filmati di ragazzini soli davanti ai palazzi crollati. In Siria i media locali stanno pubblicando le fotografie dei bimbi arrivati negli ospedali senza genitori nel tentativo di dar loro un’identità (quando sono piccolissimi) o di rintracciare le loro famiglie. Da Gaziantep ad Adana, da Aleppo a Kahramanmaras: adesso il nemico non è più soltanto la Terra che può tornare a tremare da un momento all’altro. Ci sono anche il gelo e il tempo che passa. Ogni ora in più è una speranza in meno per i dispersi che sono ancora migliaia e, anche se nessuno azzarda numeri, non è difficile ipotizzare che, fra chi manca all’appello, ci siano centinaia di bambini.
Ma le migliaia di uomini che da ieri all’alba scavano e spalano con il fiato che gela sulle labbra, cercano uomini, donne e bambini vivi. Scacciano il pensiero della morte ripensando a loro, ai tanti piccoli strappati alle macerie e tenuti stretti stretti fino all’ospedale, alla salvezza. Come fossero tutti figli di tutti. È figlio di tutti quel bambino siriano che ieri mattina implorava aiuto, imprigionato a testa in giù fra il muro e il tetto di casa sua che gli sono crollati addosso. Nel video pubblicato sui social si sente la voce di un adulto che lo invita a recitare i versi di una preghiera mentre lui va a chiedere aiuto. E a noi piace immaginare che — preghiera o non preghiera — l’aiuto sia poi arrivato. Che in un Paese martoriato e da anni lontano dalla parola «salvezza» lui, almeno lui, sia salvo.