19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Angelo Panebianco

Quali che siano le future fortune o sfortune dei 5 Stelle, un’alleanza strategica del Pd con quel gruppo renderebbe l’identità del Pd di nuovo chiara agli occhi dell’opinione pubblica. Ma non è sicuro che questo sarebbe un autentico vantaggio


La tregua armata fra i partiti imposta dalla nascita del governo Draghi non durerà in eterno. Prima o poi (un anno? Due ?) si tornerà alla dura conflittualità di sempre. Senza contare che siamo alla vigilia di una tornata di elezioni amministrative i cui risultati influenzeranno le fortune personali di diversi leader, nonché la futura navigazione del governo. I gruppi dirigenti dei partiti non sono caduti in letargo, affilano le armi attendendo la fine della tregua. I sondaggi indicano il centrodestra come vincitore più o meno trionfale delle prossime elezioni nazionali.
Ammettiamo, per ipotesi, che i sondaggi colgano nel segno. Si tratterebbe di un successo effimero oppure della nascita di una nuova egemonia, di un potere capace di durare nel tempo? Non lo sappiamo ma in ogni caso è sufficiente porsi questa domanda per rendersi conto di un fatto: comunque la si giri, il governo Conte 2 , nato per impedirne la vittoria elettorale, non è riuscito a ridimensionare i potenziali consensi per il centrodestra. Da questo punto di vista per lo meno, è stato un insuccesso.
Ciò ha reso molto difficile la posizione del Pd, ossia dell’unico partito che, per storia, insediamento sociale e cultura politica, ha la ragionevole aspettativa (dato anche il disfacimento in atto dei 5 Stelle) di restare la principale forza antagonista del centrodestra. A maggior ragione se non verrà varata una legge elettorale proporzionale e se, per conseguenza, non ci saranno nel Pd altre scissioni, altre fughe verso il centro dello schieramento politico.
Dimmi con chi vai, con chi ti accompagni, e ti dirò chi sei. Il «chi è», riferito al Pd, verrà deciso in larga misura da chi avrà la meglio nella lotta in corso in seno a quel partito: prevarrà chi vuole fare dell’alleanza con i 5 Stelle (con ciò che ne resta) un fatto strategico e permanente oppure chi si oppone a quel disegno? Quali che siano le future fortune o sfortune dei 5 Stelle, un’alleanza strategica del Pd con quel gruppo renderebbe l’identità del Pd, diventata confusa e indistinta dopo la fine della leadership di Matteo Renzi, di nuovo chiaramente definita agli occhi dell’opinione pubblica. Ma non è sicuro che questo sarebbe per il Pd un autentico vantaggio. Con una simile alleanza strategica il Pd dichiarerebbe al Paese di avere fatto, fra le proprie diverse anime, una scelta definitiva. Annuncerebbe a tutti di averla data vinta alla propria vocazione populista (da sempre presente, anche se in contrasto con altri orientamenti), di confermare la propria adesione al giustizialismo giudiziario, di sposare senza riserve, mettendo a tacere le voci più liberali, le tesi dei fautori dello statalismo economico. In questo modo il Pd si darebbe senza dubbio un’identità più chiara ma pagherebbe anche prezzi elevati. Ad esempio, rinuncerebbe definitivamente a competere per il consenso del mondo produttivo, lascerebbe al centrodestra (a una parte del centrodestra) il monopolio della difesa del mercato e della imprenditoria privata.
Il Pd dovrebbe allora rassegnarsi, probabilmente, a un lungo futuro come forza politica di minoranza. Certamente, la sopravvivenza sarebbe comunque assicurata. Il Pd disporrebbe del (quasi) monopolio dell’opposizione. Inoltre potrebbe continuare a rappresentare (ma in competizione con alcune forze della destra) gli interessi dei garantiti — principalmente dipendenti pubblici — funzionando di fatto come cinghia di trasmissione di istanze sindacali. Non gli mancherebbero inoltre le occasioni per criticare la politica del governo in tema di immigrazione. Da ultimo, potrebbe continuare a sostenere in Parlamento le istanze di minoranze (si tratti di gender o di altro) non apprezzate dal centrodestra governante.
La componente del Pd che si oppone all’alleanza con i 5 Stelle, comunque la si chiami (riformista, modernizzatrice, o altro), sembra essere troppo debole. Forse lo è sempre stata. Di sicuro, la scissione di Matteo Renzi l’ha ulteriormente indebolita. Di prove della sua scarsa consistenza politica questa componente ne ha date tante negli anni del governo Conte. Per esempio, non è mai stata davvero capace di opporsi alle politiche stataliste sostenute dai 5 Stelle nonché dalla stessa maggioranza del Pd. La sua estrema debolezza apparve chiara a tutti quando fu in gioco il tema della prescrizione nei processi penali. Ricordo che pensai: c’è una parte del Pd che non approverà mai un provvedimento del genere. Sbagliavo, il provvedimento passò senza che nessuno, in quel partito, si stracciasse davvero le vesti. Magari, nonostante le apparenze dicano il contrario , la componente antipopulista del Pd, ancorché in difficoltà e costretta a tacere al tempo del governo Conte 2, è più forte di quel che sembra. In tal caso, nelle prossime settimane e mesi , la conflittualità crescerà dentro quel partito. Al momento, nonostante le evidenti controindicazioni, l’alleanza strategica fra Pd e 5 Stelle sembra essere un esito probabile. Anche perché c’è carne politica al fuoco : ci sono coalizioni elettorali locali da formare in vista delle amministrative.
Il principale ideologo del Pd in questa fase, Goffredo Bettini (Il Foglio,19 febbraio), prospetta, nonostante tutto, un futuro assai ambizioso per il suo partito, il quale, se capisco bene, dovrebbe lottare, avendo anche possibilità di spuntarla, contro «il modello produttivo e sociale che ha vinto», impegnarsi (insieme ad altre forze europee suppongo) per «riformare il capitalismo», «rendere più umana, più giusta» la globalizzazione. Dove la grandiosità del fine si scontra con la modestia del mezzo.

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