Fonte: La Repubblica
di Ilvo Diamanti
Siamo in tempo di primarie e di scelta dei candidati sindaci, in vista delle amministrative della prossima primavera. Quando si voterà per rinnovare sindaci e amministrazioni di oltre 1300 comuni. Tra questi , alcuni importanti capoluoghi di Regione: Bologna, Cagliari, Milano, Napoli, Roma, Torino e Trieste. Poco più di vent’anni da quando entrò in vigore l’elezione diretta del sindaco. Ma pare passato un secolo, un millennio, da allora. L’unico partito che contasse, in quegli anni, era il “partito dei sindaci”. Delle grandi città. Fra gli altri: Cacciari a Venezia, Illy a Trieste, Castellani a Torino, Bassolino a Napoli, Rutelli a Roma.
L’avvento del “partito dei sindaci” sanciva il superamento della “democrazia dei partiti” tradizionali. I partiti di massa, sepolti, insieme alla Prima Repubblica, sotto le macerie del muro di Berlino. E di Tangentopoli. Il rapporto dei cittadini con la politica, da quel momento, si trasferì: dalle organizzazioni alle persone. Mentre la ricerca del consenso venne affidata alla comunicazione e ai media, invece che all’ideologia e alla partecipazione. Questo cambiamento, in ambito nazionale, venne interpretato e imposto, soprattutto, da Silvio Berlusconi, l’anno seguente. Quando, inventò un partito mediale e personale, Forza Italia, che si affermò alle elezioni politiche del 1994. Quel modello ha trasformato la politica e i modelli di partito. Fino ad oggi.
L’elezione diretta dei sindaci, nel 1993, segnò, inoltre, lo spostamento degli equilibri di potere dal centro alla periferia. I sindaci, infatti, imposero il territorio come principio di legittimazione politica e di governo. Proseguirono, così, il cammino lungo la strada aperta dalla Lega, che fece del territorio una bandiera. Ma lo identificò con il Nord e con la Padania. I sindaci, eletti direttamente dai cittadini, invece, promossero e “rappresentarono” il trasferimento istituzionale dei poteri dal Centro dello Stato ai contesti locali. In altri termini, il “federalismo”. Rafforzato, negli anni seguenti, dall’elezione diretta dei Presidenti di Regione. Ri-nominati, per questo, “governatori”. Si realizzò, così, lo “Stato delle autonomie”. Imposto, anzitutto e soprattutto, dal Nord e dal Nordest. Dal Lombardo-Veneto. Protagonisti: Berlusconi, la Lega. E (alcuni) sindaci. Vent’anni dopo, è difficile riconoscere il filo di quella storia. Soprattutto se facciamo riferimento ai candidati emersi dalle primarie che si sono svolte – a Milano. E a quelli che verranno espressi fra qualche settimana. Non tanto perché me ne sfuggano i nomi, in alcuni casi. (Non è possibile sapere tutto quel che avviene dovunque…) Ma perché, nel frattempo, è cambiato il fondamento e, dunque, il significato, della loro investitura. Certo, saranno sempre i cittadini a votare, direttamente, per il sindaco. Tuttavia, appare sicuramente difficile ricondurre la loro scelta alla società civile, ai comitati e alle forze locali. Dunque: al “territorio”. Nelle città più importanti – per fare due esempi: a Milano e a Roma – i candidati sindaci del Pd sono stati scelti in primo luogo – e talora in prima persona – dal Sindaco d’Italia. Già sindaco di Firenze. In altri termini: da Matteo Renzi. Leader del Pd e del governo. Principale esempio dell’attuale “democrazia del leader” (come l’ha definita Mauro Calise, in un libro appena uscito per Laterza) che regola e governa l’Italia. D’altra parte, e dall’altra parte, le scelte – a Roma e a Milano, ancora per esempio – sono orientate personalmente da Silvio Berlusconi. Mentre la selezione dei candidati del M5s avviene attraverso il blog di Beppe Grillo, con la supervisione e le regole dettate da Gianroberto Casaleggio. Vent’anni dopo, dunque, l’elezione dei sindaci avverrà in un clima e in contesto – politico – ben diverso. Governato da leader senza partiti. O meglio, da leader che sovrastano i partiti. Da partiti “personali” o “personalizzati”, al servizio dei leader. Mentre il territorio ha perduto colore e potere. Le stesse Regioni: sono ridotte a grandi Asl, che gestiscono la sanità (circa l’80% dei loro bilanci) con risorse sempre più ridotte. Il loro compito maggiore, nel prossimo futuro, sembra ridotto a fornire il “personale” a un Senato senza più poteri. Infine, i Sindaci. Insieme ai comuni che governano, sono costretti a far fronte a domande e aspettative crescenti, ma con fondi e trasferimenti in continuo declino. Erano “attori” di governo e delle istituzioni. Oggi sono ridotti a “esattori”. Per conto dello Stato.
La Lega, d’altra parte, ha scolorito la sua identità padana, la sua vocazione nordista. Matteo Salvini ha rilanciato il partito, spingendolo al Centro e al Sud. Ne ha spostato l’asse politico – e l’identità – a Destra. Oggi, è Ligue Nationale. Anch’essa, partito “personalizzato”, al servizio del Capo (per dirla con Fabio Bordignon).
Così, vent’anni dopo, ne sembrano passati mille. È un’altra era, un altro mondo. Perché, se ci guardiamo intorno, scopriamo un panorama politico e istituzionale senza territorio. Senza partiti. Ma con molti piccoli capi, i sindaci. Sparsi e dispersi nel Paese. A governare su tutti: un solo Leader. Circondato da pochi consiglieri fidati. Sfidato solo da alcuni anti-leader.