Fonte: Corriere della Sera
di Gian Guido Vecchi
È la terza volta di un pontefice, ma una scena così non si era ancora mai vista: Francesco si è mescolato tra i banchi per stringere mani più mani possibile
La terza visita di un Papa al Tempio Maggiore di Roma – dopo la storica prima volta di Wojtyla nel 1986 e Benedetto XVI sei anni fa – arriva a cinquant’anni dalla Nostra Aetate, la dichiarazione conciliare che segnò la svolta nei rapporti tra cristiani ed ebrei non più «deicidi». A metà dicembre un documento della Commissione vaticana per i rapporti con l’ebraismo ha fatto il punto sui risultati raggiunti da allora, confermando il «no» ad ogni forma di antisemitismo ed escludendo proselitismi di sorta: i cattolici testimoniano la loro fede ma «si astengono da ogni tentativo attivo di conversione o di missione nei confronti degli ebrei» e la Chiesa «non prevede nessuna missione istituzionale rivolta agli ebrei». Sono conquiste importanti.
E quando il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha detto che «interpretiamo tutto questo nel senso che la Chiesa Cattolica non intende tornare indietro nel percorso di riconciliazione» il Papa, che lo guardava assorto, ha annuito serio più volte. Secondo la tradizione giuridica rabbinica, ha spiegato Di Segni, «un atto ripetuto tre volte diventa chazaqà, consuetudine fissa». La visita di Francesco alla Sinagoga di Roma ha dato il senso di questa consuetudine, il consolidarsi di un rapporto dopo secoli di ghetti e persecuzioni. Le parole di Francesco hanno segnato questo punto di non ritorno: «I cristiani, per comprendere se stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele».
Ma sono stati soprattutto i suoi gesti, al di là dei discorsi, a fare da spartiacque: il Papa ha chiesto di avvicinare le persone della comunità ebraica romana e nella Sinagoga è andato avanti e indietro tra i banchi per stringere mani più mani possibile, fino ad abbracciare e baciare sulle guance i sopravvissuti alla deportazione nazista. Era la terza volta di un pontefice, ma una scena così non si era ancora mai vista.