20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco


Lo scontro sulla gestione della sanità sta lievitando: soprattutto tra governo nazionale e regione Lombardia. In parte era prevedibile, visti i numeri spaventosi dell’epidemia da coronavirus a nord. Ma la polemica è destinata a prolungarsi anche quando il contagio sarà stato messo sotto controllo. Per il momento, il nervosismo affiora perché ognuno è a caccia delle responsabilità altrui per i ritardi e gli errori commessi nella fase iniziale della pandemia. Tra palazzo Chigi e il governatore Attilio Fontana prosegue uno stillicidio di accuse reciproche, più o meno diplomatizzate. E il leader leghista Matteo Salvini bolla come «indegne» le critiche al sistema sanitario della Lombardia. Ma in realtà sulla vicenda si scaricano due modelli di amministrazione che ritornano in rotta di collisione.
L’esplosione del virus induce settori crescenti della maggioranza a chiedere che in futuro le competenze e i poteri in materia di sanità tornino allo Stato, sottraendoli alle regioni. Soprattutto il Movimento Cinque Stelle, con Vito Crimi, chiede esplicitamente che la sanità sia restituita alla competenza statale «perché alcune regioni stanno rispondendo molto bene, altre no». Implicitamente, la richiesta suona come critica al modo in cui si è mossa la Lombardia. E fa scattare la reazione leghista. Anche perché nei giorni scorsi si sono sentite da parte del Carroccio rivendicazioni di maggiore indipendenza da «Roma». Sembra riemergere la frustrazione di realtà come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, orfane dell’autonomia speciale che pensavano di ottenere coi referendum consultivi del 2017.
Il coronavirus sta risvegliando nel partito di Salvini una doppia ostilità: contro il governo, bollato come inconcludente e incline a «dare solo le briciole» alla Lombardia, secondo l’accusa di Fontana; e contro un’Europa accusata di egoismo. Forse anche sotto l’influenza di sondaggi che mostrano l’impopolarità crescente dell’Unione europea, ieri Salvini ha rispolverato posizioni che sembrava avere abbandonato del tutto: ha definito «assolutamente comprensibile» l’idea di chi sta pensando a un referendum per uscire dall’Ue. Dirlo mentre l’Italia cerca disperatamente di convincere le altre nazioni a concedere aiuti più consistenti, non è il modo migliore per favorirli. Tra l’altro, in Paesi come Germania, Ungheria, Polonia, i partiti solidali con la Lega sono i più ostili a fare credito alle nazioni mediterranee. La sensazione è che le tensioni rischino dunque di tracimare in un momento critico. Da quando oltre un mese fa sono scattate le misure di emergenza, la tendenza di alcune regioni a reagire in ordine sparso si è sommata alle sbavature e alla sottovalutazione iniziale del problema da parte un po’ di tutti: compreso l’esecutivo. Il risultato è stato di aumentare la confusione e i ritardi; e di rendere meno efficace la risposta. Il fatto che ieri il ministro Francesco Boccia abbia chiesto che «tutte le regioni» rispettino le restrizioni decise dal governo fino al 13 aprile, è il riflesso di questi timori. Ma se non arrivano segnali chiari di riduzione del contagio, difficilmente si potranno arginare spinte centrifughe che non nascono con la pandemia, né scompariranno quando sarà stata debellata.

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