Il precedente di Napolitano era considerato un’ancora di salvezza: l’addio di Mattarella fa saltare i tentativi di blindare la legislatura fino al 2023
Un precedente c’era, quello di Giorgio Napolitano. E su quello contavano alcuni tessitori di Palazzo in vista della partita del Quirinale, con l’unico vero obiettivo di blindare la legislatura fino al 2023. Una formula semplice: «Il Presidente può restare al Colle e Draghi a palazzo Chigi». Se però cercavano un segnale di disponibilità, Sergio Mattarella, che a detta del sito de L’Espresso ha firmato ieri il contratto per l’appartamento romano dove trasferirsi a fine mandato, non poteva offrirne uno più chiaro, anche se di senso opposto: il carattere eccezionale della rielezione di Napolitano deve restare tale. Non un passo indietro, ma una conferma netta di quanto sempre sostenuto e di fronte alla quale il mazzo delle possibilità deve per forza di cose essere rimescolato. Lo si fa nelle segreterie di partito, dove nessuna reazione pubblica emerge al deciso «no, grazie» del Capo dello Stato. L’ossequioso silenzio, però, a certe latitudini porta con sé il sollievo di un desiderio esaudito, in altre l’agitazione di chi deve bruciare una delle carte più pesanti della sua mano.
La quiete si incrina per un attimo in Forza Italia, dove non si è mai fatto segreto delle più alte aspirazioni di Silvio Berlusconi. Chiede infatti di «prendere atto» delle parole di Mattarella, il senatore Maurizio Gasparri, rivolgendosi a chi «continua ad accanirsi» sulla possibilità di un bis. Gasparri scaglia una freccia solitaria che rende bene l’idea del clima serale nella casa dei forzisti, rispettosamente allietati dalla notizia. Nelle ore precedenti, Berlusconi era infatti tornato a incassare dagli alleati promesse di compattezza intorno alla sua “candidatura”. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, d’altronde, sono entrambi disposti all’idea di tornare al voto in primavera. La leader di Fratelli d’Italia lo chiede apertamente da mesi e il segretario della Lega non si tirerebbe indietro. Nelle file leghiste, però, c’è anche chi avrebbe visto con favore una rielezione di Mattarella. Per il numero due di via Bellerio, Giancarlo Giorgetti, sarebbe stata infatti l’assicurazione migliore sulla stabilità del governo. E per la ragione opposta a quella di Salvini: perché nello stesso momento in cui la strada di Mario Draghi per il Colle si allarga, si indebolisce la garanzia sulla permanenza della Lega in maggioranza. Un obiettivo, quello della legislatura da portare a termine, che Giorgetti condivide con Luigi Di Maio. Per responsabilità, certo, ma anche e soprattutto perché l’opera di intrecciatura di relazioni internazionali di Di Maio, iniziata da quando è alla Farnesina, non può ancora considerarsi conclusa.
Tra chi, come il ministro degli Esteri, aveva all’interno del Pd accarezzato l’idea di una rielezione di Mattarella, non ha spento però del tutto le proprie speranze: «Se torneremo a incartarci come sette anni fa – si chiede una fonte autorevole del Nazareno -, si rifiuterebbe davvero?». La domanda non nasconde una speranza, ma manifesta una preoccupazione. Anche se intorno al segretario Enrico Letta si fa notare come Mattarella abbia ribadito la sua posizione adesso, con largo anticipo, proprio per evitare che si finisca in un vicolo cieco tra qualche mese. Raramente, però, all’interno del Pd le spinte sono convergenti. E così, se Letta non lascia trasparire nulla, più a sinistra rinverdisce l’idea dell’ideologo Dem Goffredo Bettini e del leader M5S Giuseppe Conte di portare Draghi al Quirinale e trovare un accordo di maggioranza per sostituirlo a palazzo Chigi. Ipotesi che Conte ha dovuto rimettere nel cassetto per placare i malumori interni, ma senza Mattarella, ragiona uno dei tessitori M5S, «di fronte a un impasse, potrebbe diventare Draghi la via d’uscita per tutti».