22 Novembre 2024
Voto Quirinale

Voto Quirinale

Prende forma un accordo, forse oggi spunterà l‘identikit del possibile successore di Mattarella

Forse, almeno metodo e profilo sono stati abbozzati. Dunque, una candidatura in grado di rassicurare il Parlamento che non sarà sciolto prima del 2023; concordata in modo tale da evitare tentazioni di sfondamento della maggioranza che finora ha garantito il sostegno a Mario Draghi; e in grado di non compromettere la credibilità dell’Italia sul piano internazionale. Probabilmente, l’identikit spunterà oggi. Le riunioni notturne sarebbero servite a togliere di mezzo almeno alcuni dei veti, evidenti o nascosti, disseminati nei giorni scorsi. E la terza votazione a vuoto di ieri ha rivelato l’impazienza dei grandi elettori per una soluzione rapida: sebbene a tarda sera qualunque accordo apparisse ancora in bilico. Le preferenze sparse tra le centinaia di schede bianche sono state una sorta di geroglifico offerto ai leader come un alfabeto da interpretare per arrivare a una designazione che raccolga più consensi possibili. I voti al capo dello Stato uscente, Sergio Mattarella, hanno rappresentato un messaggio di nostalgia non solo nei suoi confronti, ma a favore della stabilità e dell’imparzialità che ha incarnato e garantito nel suo settennato: sebbene non possano essere considerati come l’anticamera di una sua ricandidatura, da lui esclusa ripetutamente.
Quanto a quelli raccolti dall’ex parlamentare Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia, doppi rispetto alla consistenza del partito di Giorgia Meloni, sembrano soprattutto il riflesso della competizione per il primato nel centrodestra; e una smentita della «rosa» dei tre candidati annunciati appena ventiquattr’ore prima dai leader di quello schieramento. La lievitazione anomala dei consensi a Crosetto è suonata soprattutto come un avvertimento degli alleati al capo leghista Matteo Salvini: come se gli dicessero che il suo ruolo di regista non è affatto scontato.
Forse è stato anche quel voto anomalo a scoraggiare l’azzardo di una candidatura di schieramento che avrebbe ottime probabilità di schiantarsi; e comunque segnerebbe una pericolosa forzatura. Hanno colpito di più le schede, cinquantadue, spuntate col nome di Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera, senatore eletto nelle liste del Pd. E le due appena a favore di Draghi. Non è chiaro se si sia trattato di una sorta di «no» preventivo dei grandi elettori al premier, o della protezione offerta a una candidatura comunque incombente. Forse, la notte di trattative che si è consumata dopo l’incontro dei segretari con i propri gruppi parlamentari porterà alla persona individuata come prossimo presidente della Repubblica.
Da oggi l’elezione dovrebbe essere più facile perché «bastano» cinquecentocinque voti: la maggioranza assoluta rispetto ai due terzi dei primi scrutini. Ma le virgolette sono necessarie perché fino a sera inoltrata si fronteggiavano liste contrapposte, bocciate reciprocamente. Il nome del premier Draghi e quello di Casini sono rimasti sullo sfondo della trattativa. Ma lasciati a mezz’aria per l’incrocio con la soluzione del rebus del governo; e, almeno in apparenza, insidiati da candidature «laterali» come quella di Elisabetta Belloni, al vertice dei servizi segreti, e di altre che galleggiano nella notte.
È l’esistenza della doppia partita, per il Quirinale e per Palazzo Chigi, a rendere il finale estremamente incerto. Non si tratta solo di un incastro istituzionale complicato, ma del fatto che Draghi è comunque una figura centrale e difficilmente sacrificabile senza provocare contraccolpi anche sul piano internazionale. Di fatto, insieme con Mattarella ha garantito e accresciuto una credibilità che all’Italia mancava da tempo; e che i primi due anni e mezzo di governi a guida grillina hanno rischiato di mettere in discussione anche per l’ambiguità iniziale sulle alleanze con l’Europa e la Nato.
Questo rischio si è fortemente ridimensionato, ma non è scomparso del tutto. E dunque, l’esigenza di assicurare un ancoraggio forte a questi principi per i prossimi anni rimane prioritario, che sia scelto Draghi o un altro capo dello Stato. Non si può ignorare l’incognita che l’uscita di scena contemporanea di due garanti come lui e Mattarella rappresenterebbe; né le conseguenze che avrebbe sugli aiuti concessi all’Italia dalla Commissione europea per ricostruire l’economia e riformare il Paese dopo il dramma del Covid. I tentativi di unità che le forze politiche si sarebbero convinte a compiere nelle ultime ore sono una traccia da non perdere. Presto si capirà se il Parlamento sarà in grado di seguirle con coerenza fino al risultato finale.

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