Continuare con i litigi a distanza, con i veti, con le pulsioni irrazionali non può che procurare un danno al Paese, anche sul fronte dell’immagine internazionale.
L’inizio è inquietante, sherpa e plenipotenziari non hanno ancora concluso niente anche se le ultime ore sono frenetiche. La prima chiama per eleggere il presidente della Repubblica rischia di partire male, se in zona Cesarini non si trovasse
un’intesa.
Sarebbe stato legittimo aspettarsi di più da avversari che, magari spinti dalla pandemia e dalla crisi economica, hanno imparato a «riconoscersi», partecipando quasi tutti alla maggioranza di unità nazionale.
Molti giorni si sono persi con i sondaggi per la candidatura di Silvio Berlusconi, difficile da condurre in porto, sia per i numeri che per il contesto. Non è stato aiutato da chi avrebbe avuto il dovere della sincerità e lo ha invece rassicurato e convinto a insistere. Ma ha stupito anche il comportamento degli alleati, che hanno continuato a chiedergli se avesse i voti, non pensando per un attimo di contribuire a cercarli. Alla fine il Cavaliere ha scelto la via della rinuncia. Se si sia trattato di mossa generosa, da statista, o della presa d’atto di una pretesa velleitaria, è oggetto di polemica. Certo è che non è facile portare al Colle chi è stato al centro delle sfide dell’Italia del bipolarismo, ne era già stata prova il fallimento della candidatura di Romano Prodi, azzoppato dai franchi tiratori della sua stessa coalizione.
Telefonate e incontri più o meno riservati si succedono, nel tentativo di non ripartire da zero, ad ormai appena settantadue ore alla quarta votazione, quando i due terzi dei Grandi elettori necessari per proclamare il capo dello Stato lasceranno il passo alla maggioranza assoluta. Per la quale serve comunque un accordo, se si vuole evitare il pantano.
Che questo sia un anno che si concluderà con un clima da campagna elettorale, sempre che non si ricorra al voto anticipato, non sfugge a nessuno. Ed è difficile pretendere che questo non influenzi le scelte dei partiti, per altro con un Parlamento che la prossima volta avrà 345 tra deputati e senatori in meno. Però un limite c’è, soprattutto di fronte a un appuntamento così importante come l’indicazione, per i prossimi sette anni, dell’inquilino del Colle. Continuare con i litigi a distanza, con i veti, con le pulsioni irrazionali non può che procurare un danno al Paese, anche sul fronte dell’immagine internazionale.
Sicuramente, in ogni caso, prolungare a oltranza e senza meta le sedute dei Grandi elettori, produrrebbe insofferenza nei cittadini, già logorati da questi due ultimi, faticosi anni. Gli italiani, smentendo il luogo comune che li vuole anarchici e anche un po’ menefreghisti, hanno fatto la loro parte con disciplina. Non è troppo pretendere che anche la politica si assuma le sue responsabilità.
Si può tirare la corda fino in fondo, nella convinzione che alla fine un nome si trova, e che i giocatori di poker più bravi alla fine saranno premiati. Una tattica da Italietta, che tutti avremmo il desiderio di lasciarci alle spalle. Ci sono donne e uomini di grande valore, in grado di rappresentare il Paese, se saranno eletti con una larga maggioranza e non riproducendo la brutta copia delle contrapposizioni di questi giorni. È tardi, ma non così tardi per sedersi a un tavolo e disegnare una strategia adeguata agli impegni che ci aspettano, non solo per dovere o per necessità, ma anche per calcolo: il sistema dei partiti ci guadagnerebbe in credibilità.