Fonte: Sole 24 Ore
di Nicola Barone
I partiti invocano nuove regole. Una storia ultradecennale che ha visto articolare in modi diversi i rapporti con l’azienda del servizio pubblico
A parole tutte le parti invocano discontinuità rispetto al passato. Ma con la tornata di nomine alle porte, per un ridisegno (l’ennesimo) della governance della Rai che torna a cicli centrale nel dibattito non si andrà nell’immediato oltre gli appelli, più o meno equamente distribuiti. Con provvedimenti in corso di esame parlamentare obiettivamente più di peso l’orizzonte di chi preme si sposta all’interno della legislatura, sempre che accada. L’ultima riforma della Rai varata con Matteo Renzi a Palazzo Chigi è stato solo l’ultimo capitolo di una storia ultradecennale che ha visto articolare in modi diversi i rapporti con l’azienda del servizio pubblico.
Come è regolata la governance
Sono circa 140 le candidature al consiglio di amministrazione presentate entro il termine del 30 aprile a Camera e Senato. Gli uffici sono ancora al lavoro per compilare l’elenco che dovrebbe essere pronto giovedì. Nel sistema attuale i componenti sono sette: due eletti dalla Camera e due dal Senato, due designati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministero dell’Economia, uno eletto dall’assemblea dei dipendenti Rai. Tra i membri il cda nomina il presidente (con il sì della Vigilanza a maggioranza di due terzi) e nomina anche l’amministratore delegato su proposta dell’assemblea dei soci. Con la riforma del 2015 si sono allargati i poteri dell’ad che può nominare i dirigenti ma per le nomine editoriali deve necessariamente avere il parere del cda (che, nel caso dei direttori di testata, è vincolante se fornito a maggioranza dei due terzi). Inoltre assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione anche dei giornalisti, su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico. Cosa molto importante può firmare contratti fino a 10 milioni di euro e ha massima autonomia sulla gestione economica.
Il pressing di Fico
In vista del rinnovo del vertice in scadenza il presidente della Camera, Roberto Fico, ha invitato il Parlamento ad avviare finalmente la discussione spingendo ancora una volta la politica a fare un passo indietro. Da sempre i Cinque Stelle premono in questo senso ma – per stessa ammissione di suoi esponenti di primo piano – la pratica nel bilanciamento dei pesi non è sconosciuta neanche dalle parti dei grillini. «Il rischio è che le cose vadano come sempre, cioè che partiti e i politici pretendano la lottizzazione secondo gli antichi riti. Anche il M5S rientra in questo discorso», annota amaramente il vicepresidente della commissione di Vigilanza Primo Di Nicola. Ma per l’ex viceministro Stefano Buffagni la sfida per la Rai è prima di tutto industriale e manageriale. «Il servizio pubblico deve rimanere pubblico, ma deve soprattutto riformarsi anche operativamente, aprendo ad una gestione con logiche privatistiche per poter stare sul mercato e competere con i player italiani ed internazionali del settore ed investite nel digitale e l’innovazione».
Dal Pd alla Lega, pronti a cambiare
Per il cambiamento necessario la soluzione del Pd è già pronta. «Non è una moda dell’ultima ora ma una priorità strategica per il Paese su cui già il 6 novembre del 2020 abbiamo presentato una proposta di legge a mia prima firma in Senato e a prima firma Orlando alla Camera». Di qui l’invocazione da parte di Valeria Fedeli di un intervento che restituisca «dignità, autorevolezza, autonomia alla Rai per un servizio pubblico davvero utile al Paese e all’altezza della sfida del cambiamento, dell’innovazione, della parità». Dopo aver instillato «delle gocce di cambiamento» in passato anche la Lega vede con favore una modifica del sistema attuale. A patto che si vada oltre «il fallimento delle politiche del taglio dei numeri», con riferimento al numero dei membri in consiglio si amministrazione. «I Cinquestelle, assieme al Pd, hanno occupato ogni angolo, ogni scantinato e posacenere di viale Mazzini. Quindi, non ci vengano a dar lezioni», dice Matteo Salvini.