Fonte: La Repubblica
di Mario Calabresi
Presidente Rajoy, nei partiti nazionalisti in Catalogna sembra sia in corso un processo di autocritica e che si stia abbandonando l’idea di una indipendenza unilaterale. Come vede oggi la situazione?
“Certamente è migliorata. Abbiamo avuto un governo locale che ha deciso, in modo unilaterale, di dichiarare l’indipendenza, dopo aver affermato che la Costituzione spagnola non vigeva in Catalogna, creando una legalità parallela e violando le sentenze del Tribunale costituzionale. La situazione era difficilissima. Uno stato d’emergenza. Il mio governo ha applicato, per la prima volta nella storia, l’articolo 155 della Costituzione per ripristinare una situazione di legalità istituzionale. Ora regna una maggiore tranquillità, il governo della Catalogna è nelle mani del governo spagnolo e il 21 dicembre ci saranno nuove elezioni. Lei parla di autocritica da parte di questi partiti nazionalisti. Certo, il processo indipendentista si basava su presupposti falsi”.
E quali sarebbero?
“Dicevano che l’economia non avrebbe sofferto, invece molte – circa duemila – sono le aziende che hanno abbandonato la Catalogna. Speravano nell’appoggio europeo ma non hanno avuto l’appoggio di nessuno, né in Europa né altrove nel mondo. Avevano presentato il processo indipendentista come una panacea universale di tutti i mali e invece si è visto che la dichiarazione d’indipendenza è stata fonte di infiniti problemi per i cittadini. Oggi la situazione migliora e sono certo che dopo le elezioni inizierà una fase di normalità”.
Quali possono essere le vie d’uscita dalla crisi dopo le elezioni del 21 dicembre?
“Di vie d’uscita in realtà ce n’è soltanto una: il rispetto della Costituzione. Gli indipendentisti hanno deciso di presentarsi a queste elezioni che si svolgeranno nel contesto della Costituzione vigente. Mi auguro che nel prossimo parlamento chi è a favore della Costituzione sia in maggioranza rispetto ai secessionisti ma chiunque sarà eletto la prima cosa che dovrà fare sarà rispettare la legge”.
Il suo governo ha in programma dopo le elezioni delle concessioni all’autonomia catalana per recuperare parte delle forze secessioniste?
“Faccio due osservazioni: in primo luogo la Spagna è un Paese con un livello di decentramento politico e amministrativo tra i più alti d’Europa. In Catalogna godono di un autogoverno autonomo elevatissimo. Sanità, istruzione, servizi sociali, perfino le forze di sicurezza dipendono dal governo locale. Metà dell’Iva riscossa a Barcellona resta nella regione e lo stesso vale per le tasse sul reddito. La seconda è che io sono sempre disposto al dialogo ma non sono disposto a rompere la sovranità nazionale. La Spagna sarà ciò che viene deciso da tutti gli spagnoli, non soltanto da una parte. È come se si volesse indire in Italia un referendum dove possono votare soltanto i siciliani o soltanto i lombardi e non tutti i cittadini. Questo vorrebbe dire rompere la sovranità nazionale e l’uguaglianza dei cittadini”.
Lei pensa che la Commissione sulla riforma costituzionale possa produrre un modello più avanzato per le autonomie regionali rispetto all’attuale?
“Non mi sono mai opposto apertamente a una riforma della Costituzione del 1978. Di fatto è stata riformata in due occasioni con l’appoggio del mio partito. Ma nessuno ha fatto una proposta chiara su quello che andrebbe cambiato. Si dice riformiamo la Costituzione ma nessuno finora ha indicato chiaramente quale sarebbe l’oggetto di questa riforma, quindi sono vane parole. Ma sono disposto al dialogo. Ascolteremo le proposte che arriveranno in Commissione. Finora non se ne sono viste”.
Qual è il suo giudizio su come ha reagito l’Europa di fronte alla sfida catalana?
“La reazione è stata esemplare. E sono grato all’Europa perché ha fatto quel che doveva fare. Questo problema non è soltanto nostro ma di tutti. Il processo indipendentista colpisce i principi, i valori e le fondamenta stesse dell’Unione europea. Lo stato di diritto, il rispetto della legge, la democrazia, il rispetto delle persone sono valori e principi di base dell’Unione. E questi principi sono stati messi in discussione in modo diretto dagli indipendentisti catalani. Ma soprattutto non si possono violare le Costituzioni dei Paesi membri dell’Unione perché altrimenti vincerebbe la legge della giungla”.
L’idea dell’indipendenza ha creato in una parte della società catalana, soprattutto tra i giovani, un’aspirazione, un’idea di cambiamento forte. Non c’è il rischio che il fallimento possa portare forti tensioni sociali?
“Gli indipendentisti hanno generato divisioni e tensioni in Catalogna. Non parlo soltanto di fratture politiche ma anche personali, all’interno delle famiglie, tra gli amici. Tutta questa storia ha creato polarizzazioni e divisioni profonde tra gli stessi catalani. Chi difendeva l’unità con la Spagna ha subito minacce. La spaccatura esiste già. Ora dobbiamo agire insieme per cicatrizzare queste ferite e fare in modo che non accada più niente del genere in futuro. Quando si parla della Catalogna si dimentica che si tratta una società plurale dove le forze indipendentiste non sono maggioritarie. La Spagna è una democrazia dove sono garantite le libertà e i diritti umani, un Paese che ha fatto enormi progressi sociali e economici”.
È vero che ci son state trattative con il governo catalano fino all’ultimo momento prima che facessero la dichiarazione di indipendenza? C’è stata realmente una possibilità di evitare quel passo e il ricorso all’articolo 155?
“Due osservazioni: in primo luogo non ci sono state trattative. Io non posso trattare sulla sovranità nazionale e non posso autorizzare un referendum sull’indipendenza. Non posso né voglio. C’è stata invece una infinita pazienza da parte del governo spagnolo. Se il governo catalano avesse voluto non saremmo stati costretti ad applicare il 155. Bastava che il governo di Barcellona dicesse una cosa molto semplice, ossia che non avevano fatto nessuna dichiarazione di indipendenza. Sarebbe bastato quello. Non hanno voluto e hanno forse pensato che lo Stato non avrebbe agito, che sarebbe rimasto inerme. Ma lo Stato ha il diritto e anche il dovere di difendersi. Abbiamo adottato l’articolo 155 previsto dalla Costituzione con l’appoggio dell’80% del Senato insieme a un appuntamento elettorale che dovrebbe porre fine a questa situazione davvero bizzarra nella quale ci siamo trovati”.
In democrazia il potere giudiziario è autonomo da quello politico ma le accuse nel processo contro il governo destituito – sedizione e ribellione – sono molto gravi e le pene previste molto pesanti. Non crede che questi processi possano creare dei martiri?
“La risposta è all’inizio della sua domanda: in democrazia c’è la separazione dei poteri, io sono il presidente del potere esecutivo e quindi non mi compete fare osservazioni né discutere le decisioni dei giudici. I tribunali applicano le leggi. Se i giudici hanno formulato una serie di capi d’accusa lo hanno fatto secondo la legge. Li ho rispettati in passato e continuerò a farlo anche in futuro”.
Dagli Stati Uniti alla Francia e adesso anche in Spagna si ripetono le denunce di interferenze russe nelle campagne elettorali. Crede che ci siano state anche sul referendum catalano?
“In effetti il 55% del t
raffico sui social proveniva dalla Russia, il 30% dal Venezuela e soltanto il 3 percento degli interventi sulla questione catalana veniva da profili corrispondenti a persone reali, tutto il resto erano Bot (software che producono in automatico contenuti per orientare il dibattito). Ora io non voglio trarre conclusioni né formulare accuse però si tratta di un fenomeno grave e reale. Non è successo solo in Francia, è successo anche con la Brexit. Non ho paura di una manipolazione dei risultati elettorali, perché è un processo ben controllato, ma è sempre possibile che si verifichi questo lavoro di disinformazione. Certo leggere sul País che un factotum del partito indipendentista è stato visto mentre entrava nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove c’è Assange mi sembra una cosa poco normale. Ha detto che andava a portargli del prosciutto spagnolo. Ma poteva mandarglielo per posta”.
Assistiamo in Europa a una crescita del populismo e delle forze xenofobe. La Spagna sembra essere l’unico Paese immune. Perché? E secondo lei come si combatte il populismo?
“Ci sono forze populiste anche in Spagna ma è vero che i partiti tradizionali reggono. Penso che in Europa si debbano fare tre cose. Prima di tutto parlarne positivamente: non dobbiamo dimenticare che l’Europa resta la zona migliore del mondo dal punto di vista dei diritti umani, della democrazia, della libertà e dell’assistenza alle persone. Il modello europeo di educazione, i servizi sociali, la sanità, sono cose del tutto sconosciute in molti aree del pianeta. Per questo tutti vogliono venire qui. La nostra forza di attrazione è enorme. Quindi difendiamo ciò che abbiamo. Poi dobbiamo affrontare i problemi più sentiti: il terrorismo, l’immigrazione, la crescita e l’occupazione per poter salvaguardare il nostro modello di welfare. Infine bisogna dare un messaggio chiaro sul futuro e puntare su una maggiore integrazione. Dobbiamo pensare a tre cose: autorità fiscale europea, bilancio comune e eurobond”.
Ma per riprendere il cammino dell’integrazione è necessario un governo in Germania. Il fallimento di Angela Merkel non mette a rischio la stabilità europea?
“Ciò che è accaduto in Germania è abbastanza diffuso ultimamente, è successo in Spagna, ma anche in Belgio e in Olanda. La frammentazione politica sta provocando molti problemi di governabilità nei Paesi dove esistono sistemi elettorali proporzionali. Questo richiede che tutti gli attori politici agiscano con responsabilità e senso dello Stato. Se tutti chiedono il massimo, senza concedere nulla, gli accordi di governo sono impossibili. Ho fiducia nella leadership di Angela Merkel e nelle sue capacità; credo che nonostante le attuali difficoltà la Germania continuerà a essere riferimento di stabilità per l’Europa”.
La Spagna sta crescendo quasi il doppio dell’Italia. Come avete fatto a superare la crisi economica con tanta forza?
“Guardo con soddisfazione a quella che è stata la reazione della società spagnola. Abbiamo avuto cinque anni consecutivi di recessione, era un fenomeno sconosciuto per la Spagna, ma la prima cosa è stata controllare la spesa pubblica. Avevamo un deficit al 9% e ora siamo al 3,1%. Poi abbiamo attuato riforme strutturali per rendere l’economia più competitiva, la più importante quella del mercato del lavoro e abbiamo ristrutturato il sistema finanziario dimezzando il numero delle banche. Ora cresciamo al 3% e si creano mezzo milione di nuovi posti di lavoro ogni anno. L’export è in attivo da quattro anni. Ma bisogna perseverare: ridurre il deficit al di sotto del 3% e creare più occupazione”.
Le ondate migratorie colpiscono soprattutto i paesi del sud Europa. Come vede la situazione e che cosa pensa di quello che sta facendo il governo italiano?
“C’è bisogno di un piano Marshall per l’Africa: finché a pochi chilometri da noi ci saranno persone che non hanno condizioni di vita degne è evidente che cercheranno di spostarsi in Europa. La situazione è tremenda perché sono i giovani, che dovrebbero essere la forza dell’Africa, ad abbandonarla. Bisogna sostenere lo sviluppo dei Paesi africani, è l’unica soluzione. Credo che in Europa esista questa consapevolezza. La Spagna ha stretto accordi con alcune nazioni cercando di aiutarle a controllare i flussi. L’azione che sta portando avanti l’Italia è quella giusta, sapendo che la situazione in Libia è molto difficile. Ma dobbiamo collaborare contro le mafie e stringere accordi con tutti i Paesi. Federica Mogherini e Jean-Claude Juncker stanno lavorando bene”.
Alcuni paesi dell’Est, dalla Polonia all’Ungheria, rifiutano la ripartizione dei profughi, che cosa dovrebbe fare l’Europa, applicare sanzioni?
“Le sanzioni europee sono previste anche su queste materie ma io non credo che si possa costruire bene l’Europa soltanto sulle sanzioni, è difficile che un progetto come quello europeo possa prosperare con le sanzioni. Credo che meno sanzioni vengono comminate meglio è. Credo piuttosto nella forza della persuasione, certo sarebbe anche bene che ci si lasciasse persuadere… La solidarietà è un principio fondamentale europeo, altrimenti la nostra Unione andrà a farsi benedire”.Rajoy: “Ho salvato la Spagna, ora bisogna chiudere le ferite”la Repubblica.it