Il Commissario Hahn rassicura Roma: “I fondi raccolti in estate serviranno anche l’Italia”. Ma il Parlamento Ue chiede un esame severo dei piani
“Già la prossima settimana la Commissione comincerà ad approvare alcuni piani nazionali per la ripresa e resilienza per l’adozione del Consiglio Europeo”, dice Ursula von der Leyen intervenendo alla plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo. Valdis Dombrovskis, prendendo la parola dopo di lei, conferma la stessa tabella di marcia, “se tutto va bene i primi fondi arriveranno a luglio”, aggiunge il vicepresidente della Commissione Europea. Per l’Italia, sempre che il piano sia tra i primi a ricevere l’ok di Palazzo Berlaymont e del Consiglio, sono in arrivo 25 miliardi di euro. Anche se toccherà vedere quali e quanti piani saranno approvati subito, perché i soldi raccolti da qui a luglio potrebbero non bastare per dare a tutti l’anticipo del 13 per cento promesso. Se così fosse, dice il commissario Johannes Hahn in conferenza stampa a Strasburgo, “potrebbe esserci un pagamento pro rata, ma al più tardi in settembre potremo concludere questo programma di finanziamento”.
Nello specifico del piano italiano, “sono fiducioso – dice Hahn – e l’Italia deve essere fiduciosa, che i fondi raccolti a giugno e luglio serviranno questa” sua necessità di pre-finanziamento, che equivale a circa 25 miliardi di euro, appunto. “Quelli che hanno preparato bene i piani devono stare sicuri che i fondi saranno disponibili presto”, ha aggiunto.
Ma man mano che ci si avvicina all’attuazione dei piani del Next Generation Eu, pensato per agganciare la ripresa europea dopo la crisi da covid, aumentano le preoccupazioni sulla riuscita di tutti i progetti. Il dibattito al Parlamento Europeo rispecchia questo nuovo approccio, che di fatto dichiara terminata la fase dei festeggiamenti per l’approvazione del pacchetto di aiuti comunitari e avvia la fase della verifica. Sono in particolare le forze politiche impegnate in campagna elettorale nei propri Stati membri a tirare la corda con i rappresentanti della Commissione in aula, a partire dalla presidente von der Leyen.
In prima linea, i tedeschi, che hanno le elezioni il 26 settembre. Gunnar Beck dell’ultradestra Afd ribadisce la totale contrarietà al recovery fund: “I soldi vanno solo al sud e est Europa”. Ma se questa è la posizione più estrema, anche tra le forze politiche favorevoli al pacchetto di aiuti spuntano dei distinguo.
Markus Ferber, tedesco e capogruppo del Ppe in ‘Commissione Problemi Economici’ dell’Europarlamento, esprime la preoccupazione che gli investimenti europei possano andare sprecati: “Il pericolo è di mettere il vino nuovo in otri vecchi – dice – invece di investire per l’innovazione, si punta su vecchi progetti. Si dice di fare le riforme. Bene, ma i soldi non sempre risolvono i problemi strutturali”. L’appello per von der Leyen è di “insistere sulle riforme collegate a questi fondi: mi attendo una verifica severa dalla Commissione prima di dare l’ok” ai piani.
Il socialista spagnolo Jonas Fernandez lamenta il ritardo della Commissione nella presentazione della proposta sul cosiddetto ‘Carbon border adjustment mechanism’, la tassa sul ‘carbone alla frontiera’, ovvero sui prodotti esportati da filiere inquinanti extra-Ue. Hahn conferma che “abbiamo bisogno di altre due settimane”, la nuova imposta doveva essere presentata nella plenaria di questa settimana.
Ma il punto sollevato da Fernandez riguarda in generale tutto il meccanismo di nuove risorse proprie che dovrebbe servire a garantire sul debito comune europeo che la Commissione accumulerà per raccogliere i 750 miliardi del Next Generation Eu, con emissioni al ritmo di circa 150 miliardi l’anno da qui al 2026: entro la fine del 2021 dovrebbero essere raccolti 80 miliardi, a giorni la prima emissione, hanno assicurato i rappresentanti di Palazzo Berlaymont in un incontro con gli investitori. “Un’aliquota minima delle nuove risorse”, tipo anche la digital tax che è sul tavolo del G7 insieme alla ’global minimum tax, “deve finire nelle risorse dell’Ue e questo richiede soluzioni inter-istituzionali”, sottolinea l’eurodeputato spagnolo.
Il debito europeo da recovery dovrà essere ripagato a partire dal 2026. Ma già da ora molti europarlamentari si chiedono come si procederà. “Esprimiamo dubbi sull’effettiva capacità da parte degli Stati Membri utilizzatori di tali flussi finanziari di reperire esclusivamente per mezzo delle cosiddette ‘risorse proprie’, cioè con l’imposizione di nuove tasse per poter far fronte agli impegni presi dalla Commissione con l’emissione di bond, considerando appunto che la maggior parte di questi Paesi, nei loro Piani nazionali di ripresa e resilienza, hanno optato per la richiesta di sole sovvenzioni – dice il leghista Antonio Rinaldi – Se le mie previsioni si riveleranno corrette, la Commissione come farà fronte agli impegni? Aumentando in corso d’opera ulteriormente la pressione fiscale?”. “Non tutti gli investimenti portano crescita, chi lo paga questo debito?”, dice lo slovacco Eugen Jurzyca dei Conservatori.
Da qui al 2026 c’è tempo. E pur di non aumentare i contributi al bilancio Ue, è più probabile che gli Stati trovino l’accordo sull’introduzione di nuove risorse proprie, anche la digital tax che non va per la maggiore nei ‘paradisi fiscali’ d’Europa, Irlanda, Olanda, Lussemburgo. Per ora si impone la richiesta di rigore nell’attuazione dei piani. “La Commissione deve essere severa, in modo da poter correggere la rotta, se gli Stati non spendono quanto deciso, altrimenti il piano di ripresa e resilienza non terrà fede al suo nome”, dice Bas Eickout, olandese, co-presidente del gruppo dei Verdi insieme alla tedesca Ska Keller. Il test elettorale in Germania, dove il dibattito sul recovery si è surriscaldato dopo le dichiarazioni del rigorista Wolfgang Schauble, lo riguarda comunque da vicino.