19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Federico Fubini


Il Recovery Plan italiano sta entrando nella fase decisiva di preparazione. Per il governo di Mario Draghi, significa superare in tempi record la tappa più difficile per un Paese dall’amministrazione pubblica notoriamente sfilacciata: avere le persone per attuarlo. Non però quelle di McKinsey. Nei corridoi del ministero dell’Economia ha suscitato un certo stupore l’attenzione sul contratto da 25 mila euro alla società di consulenza. I suoi esperti sono chiamati solo a ricontrollare il piano per Next Generation EU in base agli standard di riferimento dei progetti degli altri Paesi e confezionare il prodotto finale con la grafica e parti di testo accattivanti, prima dell’invio a Bruxelles. Ma tutti nei ministeri coinvolti capiscono che la partita vera è altrove. Non solo nella squadra formata per il Recovery dei 50 tecnici del ministero dell’Economia, destinata tra l’altro a crescere. Né in quelle di una quindicina di addetti l’una in ciascuno dei principali ministeri.
Il problema di fondo riguarda le strutture dello Stato per poter investire maniera produttiva 209 miliardi di euro in cinque anni e mezzo, perché ogni euro del Recovery non speso nel 2026 rischia di andare perso. Gli apparati di oggi non hanno le competenze necessarie e le procedure per reclutare nuovi profili sono inadeguate, anche perché troppo lente. Stanno entrando ora nuovi dirigenti che hanno vinto concorsi pubblici banditi dieci anni fa, mentre il governo ha bisogno di assumere migliaia ingegneri, ingegneri gestionali, informatici, geologi e altri professionisti entro sei mesi (al più tardi). La fase esecutiva del Recovery incombe e c’è l’intera struttura tecnica dello Stato da ricostruire, senza compromessi sulla qualità dei profili. Di qui il disegno di innovazione nel reclutamento dello Stato, confermato al “Corriere” da una mezza dozzina di persone al corrente degli sviluppi. Quel progetto sarebbe un tassello della riforma dell’amministrazione posta dalla Commissione Ue come condizione all’Italia per poter ricevere i bonifici da Bruxelles. Nel governo si sta dunque studiando un meccanismo di reclutamento rapido di migliaia di esperti, con remunerazioni di mercato e inizialmente con contratti a tempo. Niente concorsi tradizionali. Per ingegneri o geologi il ministero della Pubblica amministrazione potrebbe appoggiarsi agli albi professionali di chi ha superato l’esame di Stato.
Non conterebbero i punteggi ottenuti nei test di accesso agli ordini, ma quella selezione prima farebbe da filtro per l’iscrizione a concorsi speciali. Quanto ai professionisti senza albo – attivi in settori nati dopo l’epoca d’oro di ordini fondati come enti pubblici negli anni ’30 – si pensa a altri metodi: individuazione dei profili tramite i sistemi di ricerca tipici delle grandi imprese, incluso il ricorso all’intelligenza artificiale. Chi sarà assunto per il Recovery, potrà esserlo solo a tempo proprio perché i fondi finiscono nel 2026 e le regole europee non permettono contratti permanenti. Ma potranno diventarlo dopo, se le amministrazioni trovano le risorse necessarie. Fin qui la gestione dell’emergenza, che però rischia di non bastare in una Roma dai ministeri sempre più disarticolati (ad eccezione di Esteri e in parte di Giustizia ed Economia). Nel governo si pensa dunque a un meccanismo già usato nelle grandi amministrazioni europee: la chiamata diretta di circa 500 figure per ruoli di vertice, per esempio nei gabinetti dei ministri. L’idea è di creare un’osmosi dal settore privato (che coinvolga anche talenti italiani all’estero), al pubblico, in vista di un ritorno al privato in seguito. Anche qui sulla base di retribuzioni che non scoraggino i più capaci dal servizio nello Stato. C’è poi un terzo fronte aperto sui concorsi pubblici già banditi, ma bloccati dalla pandemia. Molti comuni, anche grandi, sono sempre più a corto di personale e si cercherà di tenere esami digitali in sedi istituzionali (per esempio, le grandi aule universitarie). Di certo la riforma dell’amministrazione è l’aspetto su cui finora Bruxelles ha criticato di più l’impianto italiano del Recovery. Serve un progetto per nuovi sistemi di reclutamento, un nuovo impianto sulla progressione delle carriere, un nuovo metodo di valutazione delle performance. L’Italia è in mezzo al guado. Non può restare dov’è.

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