Fonte: Corriere della Sera
di Enrico Marro
Le stime dell’Istat sulla platea interessata al sussidio: i single saranno il 48%, gli stranieri il 12,4%
Oggi parte l’operazione «reddito di cittadinanza», ma le incognite sono più dei punti fermi. Quasi certamente molti uffici postali e dei Caf saranno presi d’assalto per la presentazione delle domande. Per il resto nessuno sa esattamente come andrà. Per esempio, le stime del governo (relazione tecnica al decreto legge) e quelle delle varie istituzioni audite in Parlamento differiscono sul numero di quanti prenderanno il sussidio: si va dagli 1,2 milioni di famiglie, secondo l’Inps agli 1,7 milioni secondo l’Inapp, passando per gli 1,3 milioni dell’Istat. E di conseguenza oscilla anche il numero complessivo delle persone componenti le famiglie beneficiarie: dai 2,4 milioni previsti dall’Inps ai 4 milioni dell’Inapp, passando per i 2,7 indicati dall’Istat e i 3,5 dal governo. Ieri l’Istat ha confermato le sue stime, aggiungendo che i single «costituiscono il 47,9% delle famiglie beneficiarie (626 mila) e riceveranno, in media, un sussidio annuo di 4.485 euro», contro una media generale di 5.053 euro a famiglia. Gli stranieri beneficiari saranno 333 mila, il 12,4% del totale.
Le domande respinte
Visti i numerosi paletti previsti dalla legge (Isee non superiore a 9.360 euro; requisiti severi sul patrimonio immobiliare e mobiliare; stretti limiti al possesso di veicoli; residenza da almeno 10 anni in Italia), sarà bene non fermarsi al dato delle domande presentate, perché una parte non marginale potrebbe venire respinta dall’Inps, cui spetta la verifica dei dati dichiarati. Dal numero finale dei beneficiari e dall’importo che verrà loro assegnato (il sussidio integra eventuali redditi fino a un massimo di 780 euro al mese per un single e 1.330 euro per una famiglia numerosa, ma bisogna togliere 280 euro se si vive in casa di proprietà) dipenderà se i soldi stanziati dal governo (5,9 miliardi nel 2019 per l’erogazione di reddito e pensione di cittadinanza, oltre 7 miliardi dal 2020 in poi) basteranno oppure se gli importi del sussidio dovranno essere tagliati, come prevede la stessa norma nel caso in cui i fondi non siano sufficienti. E questo solo per limitarsi alla prima fase.
La fase due
Se poi ci si addentra nella seconda, le incognite aumentano. La legge dice, infatti, che i beneficiari del reddito dovranno, entro un mese dall’accoglimento della domanda,sottoscrivere la Did, Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. Verranno quindi presi in carico dai Centri per l’impiego e non potranno rifiutare più di due offerte di lavoro congrue. In realtà, dice l’Istat, solo 900 mila, cioè una persona su tre di quelle interessate al sussidio, dovrà sottoscrivere il Patto per il lavoro. Gli altri, come anche i pensionati, dovranno invece accettare un Patto di inclusione sociale con il comune di residenza. Entrambi i patti prevedono molti adempimenti a carico del beneficiario, pena la sospensione, il taglio o la decadenza dal sussidio. Se il meccanismo funzionasse, sia rispetto ai controlli sia sul versante del collocamento al lavoro, una parte dei titolari potrebbe cessare dal beneficio prima dei 18 mesi di durata dell’assegno. In realtà, a partire dai cosiddetti «navigator», è tutto in alto mare.