19 Settembre 2024

Fonte: La Repubblica

mattarella

di Claudio Tito

Il retroscena. La “sorpresa” del capo dello Stato per il tentativo di coinvolgerlo. I pochi precedenti e la necessità di una legge

Stupore”, “sorpresa”, “scetticismo”. L’ipotesi di far slittare di qualche settimana il referendum costituzionale del 4 dicembre sembra ormai tramontata. Manca solo un mese all’appuntamento che tutti i partiti considerano cruciale. Un voto con cui si segnano le sorti della riforma che cambia in modo sostanziale la nostra Carta fondamentale, e con cui si determinano i destini di questo governo e della sua leadership. Eppure le polemiche di questi giorni uno strascico lo hanno lasciato. Soprattutto al Quirinale.
Il presidente della Repubblica, infatti, si è sentito chiamare in causa “ingiustificatamente”. Come spiegano gli esponenti dell’esecutivo e i parlamentari che ieri lo hanno ascoltato, Sergio Mattarella ha assistito con “stupore” al tentativo effettuato nelle ultime 72 ore di “tirargli la giacca”. Da una parte e dall’altra, con una forza mai riscontrata in questi 32 mesi di mandato presidenziale.
Si è trattato, peraltro, di un tentativo inutile. Per un semplice motivo: “Il presidente non ha mai pensato e nessuno gli ha mai parlato” dell’ipotesi di far slittare la consultazione referendaria. Non solo. L’idea di spostare la data del voto non ha mai varcato il portone del Quirinale. Il confronto non ha superato i confini dei partiti e dei giornali. Senza alcun tipo di profilo formale e istituzionale.
Dopo il viaggio in Israele e la visita ai paesi colpiti dal terremoto, ieri il capo dello Stato si è sentito costretto a riaprire l’agenda politica. E, appunto, non ha nascosto una punta di fastidio per i sospetti che sono stati fatti circolare sul ruolo svolto dalla presidenza della Repubblica.
Va ricordato che casi analoghi dal 1948 ad oggi non se ne sono registrati. C’è un solo precedente e risale al 1993. Per consentire l’entrata in vigore della nuova legge elettorale dei comuni – quella che ha introdotto l’elezione diretta del sindaco con il doppio turno – fu prolungata la consiliatura (ad esempio Isernia) di alcune città. Nel 1996 si discusse e poi si abbandonò l’idea di uno slittamento delle elezioni politiche per una questione tecnica legata alle liste per Montecitorio. Il governo Dini, a Camere sciolte, si limitò a modificare le schede elettorali dei deputati per uniformarle a quelle del Senato. Ma lo fece con il consenso totale di tutte le forze parlamentari. Stessa situazione nel 2008 quando venne riammessa nella competizione nazionale la Dc di Pizza. Le forze politiche si consultarono sull’idea di ritardare l’apertura delle urne ma alla fine tutto rimase come stabilito dalla legge in vigore.
Tutti i giuristi più esperti, infatti, spiegano che solo con una legge votata in Parlamento da un ampio arco di forze e non solo dalla maggioranza, si potrebbe concretizzare un intervento. Proprio per questo l’inquilino del Colle si è tenuto lontano dall’idea di promuovere il rinvio della consultazione referendaria . Tenendo peraltro presente che si tratta di un voto che determina il passaggio da un assetto istituzionale ad un altro. E che quindi, in ogni caso, non può essere procrastinato per un periodo troppo lungo. “Al massimo pochissime settimane”. Non sarebbe stata dunque nemmeno presa in considerazione l’opzione di un rinvio lungo alla prossima primavera.
Tutti motivi, ha confidato Mattarella ad alcuni deputati e senatori, che hanno provocato la sua “sorpresa”. Perché la discussione “mai” ha superato il portone del Quirinale e invece ha messo proprio la prima carica dello Stato al centro di una trattativa mai esistita. Anche quando gli hanno chiesto della proposta avanzata dall’ex segretario del Ppi, Pierluigi Castagnetti, il presidente della Repubblica ha ricordato che è di certo un amico di lunga data, che è libero di esprimere le sue idee ma che quelle idee restano personali.
Tutte queste riflessioni, allora, vengono a questo punto accompagnate da una dose massiccia di “scetticismo” sulla praticabilità di quella strada. Il tempo è “scaduto” manca troppo poco tempo all’apertura delle urne. Soprattutto il confronto tra le forze politiche si presenta tutt’altro che fluido su questo tema come su molti altri. Ed invece per affrontare una questione di tale delicatezza e per raccogliere l’appello lanciato dai sindaci delle zone colpite dall’ultimo terribile sisma, ci sarebbe bisogno di un “arco ampio” di forze politiche e parlamentari pronte ad approvare una legge alla Camera e al Senato. Una riflessione che alcuni hanno sintetizzato in questo modo: “Io non ho promosso una soluzione del genere”.
I paletti del Quirinale, quindi, sono stati ben piantati. Al punto che il capo dello Stato è stato molto netto con qualche interlocutore parlamentare su un’altra questione. Non sarebbe comunque bastato un decreto del governo per arrivare ad assumere o avallare una scelta tanto importante dal punto di vista istituzionale. Anche perché un provvedimento d’urgenza – che del resto l’esecutivo non ha mai proposto – avrebbe scatenato un putiferio nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama. E alzare il livello dello scontro politico in questa fase non rappresenta certo l’opzione migliore per il Quirinale.
Quindi il solo percorso possibile sarebbe stato quello di una legge approvata dalle due Camere con un “arco ampio” di forze. Ma è ormai chiaro che questa circostanza non si può realizzare. Che tutto è chiuso dal confronto politico burrascoso e da una tempistica troppo angusta. Considerando anche che tra pochissimi giorni si aprono i seggi per gli italiani all’estero e di fatto si avviano le operazioni di voto.
Insomma il “caso è chiuso”. Resta però sul Colle lo “stupore” per l’immotivato coinvolgimento nelle polemiche del presidente della Repubblica.

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