Fonte: Corriere della Sera
di Valentina Santarpia
Il presidente del Consiglio: «Non vedo nessun nesso con l’azione dell’esecutivo, non mi preoccupa». Se la riforma costituzionale sarà confermata dal voto popolare, saranno ridotti i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200
Il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente Giuseppe Conte, ha convenuto sulla data del 29 marzo per l’indizione – con decreto del presidente della Repubblica – del referendum popolare sul testo di legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. Lo comunica Palazzo Chigi.
Conte: «Fiduciosi»
«No, non mi preoccupa, il referendum è una possibilità offerta ai cittadini di pronunciarsi su una riforma costituzionale», commenta a caldo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nel corso della registrazione di Otto e mezzo (che andrà in onda stasera su La7). «Siamo fiduciosi che ci sarà» un ampio schieramento di cittadini in favore della riforma, ha aggiunto Conte, ribadendo di non temere che dopo la consultazione il Governo possa cadere: «Non vedo connessioni o interferenze», ha sottolineato. Mentre per il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, sarà «una grande pagina di democrazia».
Cosa prevede la legge
La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4.
Niente quorum
A differenza dei referendum abrogativi, per la validità del referendum costituzionale non è obbligatorio che vada a votare la metà più uno degli elettori aventi diritto: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, indipendente da quante persone si recano ai seggi.
I precedenti
Quello di marzo sarà il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due terzi è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata ed è diventata legge costituzionale. Il primo è quello del 7 ottobre 2001 quando si tiene il referendum per confermare o no la riforma del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell’Unione negli anni dei governo Prodi, D’Alema e Amato: passa con il 64,2% di voti favorevoli anche se l’affluenza si ferma poco oltre il 34%. Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006, riguarda la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi (su ispirazione della Lega di Bossi e con Calderoli ministro delle Riforme): la cosiddetta `devolution´ è bocciata con il 61% mentre i votanti raggiungono il 52%. Il 4 dicembre 2016 è la volta del terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana: la maggioranza dei votanti respinge il disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire no è il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti però sono record, quasi il 69%. Prima conseguenza politica le dimissioni del governo Renzi.
Come è stato chiesto
Il referendum confermativo per le leggi costituzionali è disciplinato dall’articolo 138 della Carta. Serve a sottoporre ai cittadini la riforma votata dal Parlamento, ma può essere richiesto solo se i sì della Camera e del Senato non superano i due terzi dei componenti dell’assemblea. Tre sono i modi previsti dalla Costituzione per far partire la macchina referendaria: a chiedere il referendum possono essere 5mila elettori, 5 Consigli regionali o un quinto dei membri di una delle Camere (126 deputati o 64 senatori). Nel caso della legge sul taglio dei parlamentari, le firme sono arrivate da 71 senatori con il contributo decisivo di alcuni della Lega che hanno inteso così favorire la fine anticipata della legislatura.