Centrodestra, la «lezione» sui candidati
Il test elettorale di ieri aveva una valenza politica, ma solo perSchlein e Conte: la prima ha superato la prova mentre il secondo è sempre più in crisi. Fallito il «rigore a porta vuota» in Liguria, la leader democratica doveva confermarsi in Emilia-Romagna e riprendersi l’Umbria, per impedire che i mugugni interni sulla gestione del Pd si trasformassero in aperto dissenso. Il risultato la rende invulnerabile perché il centrosinistra sta tornando a essere la Quercia con i suoi cespugli.
E infatti le parole con cui Schlein commenta il successo, «frutto di coesione della squadra e del partito», sono un duplice messaggio: ai suoi dirigenti e agli alleati. Il richiamo alla vittoria di coalizione è un modo per rendere più tollerabile ai partner i loro risultati modesti. Numeri alla mano il Pd sta drenando voti alle altre forze come fosse un’idrovora. E dalle urne emerge l’emorragia di consensi di M5S, che nelle ultime tornate elettorali è stato regolarmente scavalcato anche dall’Alleanza Verdi e Sinistra.
Così Conte si presenta indebolito alle assise del Movimento, dovendo trovare una soluzione al problema che diabolicamente gli pone Renzi: «Il centrosinistra vince se è unito, perde se è diviso». Un concetto all’apparenza banale ma insidioso per i post-grillini, perché alimenta lo scontro interno tra quanti spingono per costruire un’alleanza stabile e quanti invece teorizzano lo «splendido isolamento» per tornare alle origini e rilanciare il M5S, o come si chiamerà in futuro.
Si tratta di un passaggio delicato che metterà alla prova anche le doti politiche di Schlein. Perché la forza del Pd è necessaria ma non sufficiente per battere «le destre». E non c’è dubbio che toccherà alla segretaria democratica il ruolo di regista, modellando il profilo della squadra e definendo un programma che sia accettato sulla politica economica, sulla politica estera e sulla politica sociale. Ogni test elettorale, compreso l’ultimo, legittima questo suo ruolo. Per essere «fit to lead» per la guida del Paese.
Perché oggi la differenza tra i due blocchi è che il centrodestra «c’è», mentre il centrosinistra ancora «non è». Per quanto la maggioranza sia uscita sconfitta dal voto. La premier sostiene che «ogni elezione rappresenta un messaggio per chi governa». Un concetto che va interpretato, siccome un’alleanza che guida tutte le regioni del Nord e alcune delle aree più importanti del Centro e del Sud — dal Lazio alla Sicilia — non può attribuire valenza nazionale alla perdita dell’Umbria. E dato che Meloni si riferiva proprio al dato umbro, il suo intento era sconfessare la tesi che il centrodestra non abbia classe dirigente e porre invece il problema della selezione dei candidati.
Ecco il tema: in Sardegna fu per una candidatura errata che la coalizione di maggioranza perse; al contrario in Liguria è riuscita a vincere nonostante partisse con un pesante handicap giudiziario. La sconfitta in Umbria è quindi attribuita a una carenza nella capacità di amministrare il territorio: carenza che non è stata colmata dallo sforzo di tutto il governo, che ha sostenuto la campagna elettorale di Tesei. E se è vero che il centrodestra ha evitato di perdere tre a zero in questa tornata di Regionali, è altrettanto vero che la sconfitta in Umbria sia un monito in vista della scelta dei prossimi candidati: soprattutto in Veneto.
Quella sì sarà una prova che inciderà sugli equilibri di governo. E che avverrà in una fase diversa da quella attuale. Al momento i sondaggi certificano che il rapporto tra la premier e il Paese è ancora solido. Ma è da mettere nel conto un logoramento fisiologico che si acuirebbe se la maggioranza si impantanasse sui progetti di riforma.
Per il resto il centrodestra conferma un dato storico sui rapporti di forza interni: il primato spetta al partito del leader della coalizione. Non c’è dubbio però che nel derby tra Forza Italia e Lega, il Carroccio si mostri in affanno. Ieri ha colpito il commento di Salvini al risultato: «Da domani sarò a disposizione dei nuovi amministratori per portare avanti tutte le opere pubbliche che servono a cittadini e territorio». Un approccio giustamente ministeriale, dopo una campagna elettorale dai toni barricaderi. Si vedrà se andrà avanti così, se Schlein saprà costruire l’alternativa di governo, se Conte uscirà dal vicolo cieco… In fondo si è votato solo in due regioni.