Fonte: Corriere della Sera
di Monica Guerzoni
L’ex premier: bisogna riconoscere al segretario Pd di aver spostato l’asse del Paese. Il Recovery fund è un risultato incredibile. Renzi? Le porte aperte non mi spaventano
Per scacciare l’«incubo» di una Toscana amministrata dalla Lega, Enrico Letta si è rimesso a fare campagna elettorale: per la sua Regione, per il Pd e per il centrosinistra. Un’alleanza larga, «da Landini a Calenda», come quella che l’ex premier ha disegnato con il programma della Summer School della sua Scuola di Politiche che si è chiusa sabato a Cesenatico: «Siamo riusciti a far dialogare senza le problemi le tante anime di un centrosinistra fatto di persone che non si parlano».
L’ultima bufera l’ha sollevata Bonaccini, aprendo al ritorno di Renzi. Non è tafazzismo, visto il fuoco amico sul Pd?
«Le porte aperte non mi spaventano, anche se troppo spesso nel campo del centrosinistra hanno prevalso ripicche e odi personali. A Cesenatico abbiamo fatto un piccolo esperimento, far ragionare in un campo largo voci anche diverse tra loro come Speranza, Franceschini, Landini, Schlein, Bonaccini. In futuro mi piacerebbe coinvolgere anche Bonelli e Bonino».
E Renzi? Davvero lei vuole aprire anche a chi le prese il posto a Palazzo Chigi?
«Non ho sentimenti di rivincita, o di chiusura, sono per i confini larghi. L’importante è che tutti siamo consapevoli di quanto la leadership di Zingaretti ha fatto per il Paese, spostandolo su una posizione europeista».
Zingaretti è sotto attacco, da Saviano alle Sardine. Troppo a rimorchio dei Cinque Stelle?
«Chi lo dice racconta una balla. Sulla cosa più importante, il rapporto con l’Europa, il Pd ha fatto la differenza. Avevamo un governo antieuropeo e adesso abbiamo un governo europeista e questo grazie al lavoro di Zingaretti nei confronti dei Cinque Stelle».
Non la disturba che i decreti sicurezza di Salvini siano ancora intatti?
«La differenza tra Lamorgese e Salvini è come tra il sole e la luna. Non è vero che la ministra dell’Interno sta facendo le stesse politiche della Lega e sono sicuro che quei decreti saranno cambiati. Devono essere cambiati».
E il Mes, che per il M5S è tabù?
«L’Italia prenderà quei soldi, per il bene delle persone, dell’economia e della sanità. Andiamo all’essenza, guardiamo la luna e non il dito. La cosa importante è che questo governo non sta con Budapest e Varsavia, ma sta con Berlino, Parigi e Madrid. Siamo passati da Orban a Merkel, Macron e Sanchez».
Se il governo perde le Regionali, Conte deve lasciare?
«No, Pd e M5S vanno divisi a queste elezioni, che sono a turno unico. Quindi non è un test nazionale».
E se Zingaretti perde la Toscana? Orlando, Bonaccini, o altri proveranno a buttarlo giù dal Nazareno?
Sono elezioni regionali e tali debbono rimanere. Zingaretti è stato eletto alle primarie e, a parte il fatto che non si può cambiare leadership a ogni cambio di scenario, bisogna riconoscergli di aver spostato l’asse del Paese. Il Recovery fund è un risultato incredibile, ci sono 209 miliardi fondamentali per la vita dei cittadini e per le imprese».
Quanta paura ha che Salvini prenda la Toscana?
«Da toscano dico che vinciamo. Per due giorni lascio da parte il mio lavoro di direttore della Scuola Affari internazionali di Science Po a Parigi e venerdì sarò a Pisa, la mia terra, a dare una mano per la chiusura della campagna elettorale. Parliamo del brand di regione italiana più famoso nel mondo e bisogna evitare l’immagine drammatica di una Toscana che passa alla Lega. Susanna Ceccardi come sindaca di Cascina è stata un disastro, ha governato così male che è scappata al Parlamento europeo».
Torniamo al fuoco amico. Ha ragione Zingaretti a denunciare l’ipocrisia di chi fa l’alleato al governo e poi attacca in tv?
«È tipico del campo del centrosinistra. È stato sempre così, anche ai tempi di Prodi. Il mio consiglio è prendere esempio dalla sua pazienza».
Prodi vota no…
«Non mi scandalizza, anche se è la persona che sento più vicina. Il referendum è divisivo, ci possono essere posizioni diverse anche tra le personalità più eminenti del Pd e ha fatto bene Zingaretti a tenerne conto. Io mi sono dato la regola di votare nel merito, lo feci anche nel 2016, quando sostenni il sì pur sapendo che il no avrebbe portato alle dimissioni di Renzi».
E adesso?
«Ho sempre sostenuto la riduzione dei parlamentari, sarei in contraddizione con me stesso se non votassi sì. L’idea di una riforma complessiva risulta molto ostica agli italiani, che hanno bocciato quella di Berlusconi e, dieci anni dopo, quella di Renzi. Meglio cambiamenti puntuali come questo, anche perché per esperienza personale posso dire che 600 deputati e senatori sono sufficienti a far funzionare il Parlamento».
Con questa legge elettorale?
«È la peggiore e l’unica possibilità che cambi è il sì. Il no cementifica l’esistente».
Conte può essere il federatore del centrosinistra? O lei ci sta pensando?
«Sono convinto che si voterà a scadenza naturale, febbraio del 2023. È un’era geologica, parlarne adesso è inutile. E Conte è totalmente concentrato nel lavoro che sta facendo, direi anche bene».