19 Settembre 2024

Fonte: La Repubblica

Paolo Gentiloni

di Carlo Bertini

Plauso dell’ex premier per la squadra di governo fotocopia, pressing sulla legge elettorale

Tanto per cominciare, il piano sui sottosegretari è stato rispettato alla lettera: varare una squadra fotocopia con scambi di poltrone che si contano sulle dita di una mano era la migliore soluzione per far capire che il Pd vuole elezioni subito. «E non era scontato farcela», raccontano gli uomini dell’ex premier. Dunque anche questa mossa è piaciuta al convitato di pietra di questa giornata campale, cioè Matteo Renzi. «Rivendico questa continuità sul piano politico», mette le cose in chiaro Gentiloni, come a dire idealmente che «io e Matteo siamo una cosa sola». E che sia proprio così lo dimostrano segnali vari, come il fatto che Filippo Sensi in questa fase faccia da portavoce a entrambi – premier ed ex premier – o come la scelta di Gentiloni di nominare capo del suo staff Antonio Funiciello, presidente del Comitato del Sì e spin doctor di Luca Lotti a Palazzo Chigi.
Gli scambi whatsapp e le chiacchiere sui cellulari riportano dunque solo carezze per chi sta pedalando in tandem con Matteo nella stessa direzione di marcia, ovvero il voto anticipato. Nessun rilievo di sorta al neo premier. Il che, per una tribù sospettosa e abituata a pensar male come quella del «giglio magico» è fatto raro, specie se si tratta di commentare le azioni di chi ora mena le danze. Promosso alla prova del fuoco della conferenza di fine anno dal suo predecessore, che dalle Dolomiti ha seguito a distanza la condotta del suo prescelto. «Paolo va benissimo, è stato bravo, del resto Matteo sul voto e sulla legge elettorale non mette prescia a lui, ma al Parlamento», racconta il fiorentino David Ermini, amico di Renzi nonché responsabile giustizia del Pd. Che apprezza i toni e le professioni di lealtà dimostrate ad ogni piè sospinto. «Potete crederci o no, ma gliel’ho chiesto io alla Boschi», giura Gentiloni, caricandosi sulle spalle anche il fardello della riconferma della testimonial della riforma costituzionale, addossato finora solo al leader. Il quale ovviamente ha gradito questo gesto, così come non sono sfuggite le parole di «massima considerazione» nei riguardi di Lotti.
Renzi viene menzionato dal premier per dare plastica rappresentazione di una lealtà formale e sostanziale, con toni perfino protettivi in vari passaggi: riproducendo un copione di sintonia umana e politica che arriva fino al paradosso di non nutrire istinti difensivi verso la propria poltrona di premier. Perché quando Gentiloni dice che «non si può vedere il voto come una minaccia», non fa che ammettere la sua disponibilità a lasciare Palazzo Chigi quando glielo chiederanno: cioè quando Renzi farà capire a Mattarella che il Pd non vorrà andare oltre, una volta ottenuta l’armonizzazione dei sistemi elettorali tra le due Camere.
«Con Renzi ho un rapporto di stima e collaborazione e penso che questo sia un vantaggio per il Pd e il governo», dice Gentiloni, facendo capire quale sia la vera polizza per la stabilità. Un rapporto che consente ai legionari del renzismo di battere da giorni su ordine del leader le truppe nemiche, «Nessuna melina sulla legge elettorale, i partiti si muovano, questo famoso 60% del No era una bufala, perché quando dal No si passa a dover dire un Sì tutti scappano», è lo sfogo del leader con i suoi interlocutori.

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