22 Novembre 2024
SPECIALE ELEZIONI EUROPEE
Fonte: Corriere della Sera

Il Pd a percentuali non toccate prima, né alle politiche né alle europee

Un po’ sotto il 40%, forse un po’ sopra. Non è la Democrazia Cristiana di De Gasperi e Fanfani: più modernamente, è il Partito democratico di Matteo Renzi. È questo l’esito – clamoroso e inatteso alla vigilia – delle elezioni europee svoltesi nella giornata di ieri. Beppe Grillo ne esce sempre forte, ma un po’ ridimensionato. Silvio Berlusconi ne vien fuori ancora vivo: e già questa può considerarla una soddisfazione. Il trionfo di Renzi, dunque. E perché no, la buona figura fatta dall’Italia. A fronte di quanto accaduto in altri Paesi europei – Francia e Gran Bretagna in testa a tutti, naturalmente – non c’è stato il temutissimo crollo dei votanti (certo calati ulteriormente) e nemmeno il sorpasso da parte di un movimento come quello di Grillo del principale partito di governo. Non è poco, e non era scontato. Ed è un biglietto da visita niente male per un Paese che si accinge al suo semestre di guida europea.

Dai primi dati reali, l’avanzata del Pd a «trazione Renzi» appare sostanzialmente omogenea da Nord a Sud. L’appello alla speranza e all’ottimismo, più una certa frenesia e velocità – che in certi momenti hanno ricordato il Berlusconi delle origini – hanno fatto presa nelle pieghe di un Paese provato ma evidentemente ancora fiducioso nella possibilità di un riscatto. Ed è stata forse questa – più ancora che gli 80 euro e le misure-simbolo sul tetto agli stipendi di manager e magistrati, o la vendita delle auto blu – la chiave della silenziosa ma trionfale marcia del più giovane premier della storia italiana.

Beppe Grillo, se i risultati indicati dalle proiezioni saranno confermati nella notte, non ha vinto la sua battaglia contro l’«ebetino», ma non l’ha certo nemmeno persa. Si attesta su livelli inferiori al risultato-boom del febbraio 2013, ma stacca Forza Italia e – da solo – vale più di tutti gli altri partiti (dalla Lega al Nuovo centrodestra) messi assieme. Non è poco, anche se l’annunciata avanzata non c’è stata: e questo, in una forza politica «normale», determinerebbe certo l’avvio di una discussione.

I risultati fatti registrare dagli altri partiti e movimenti in campo non sono poi andati molto lontani dalle previsioni della vigilia. La Lega un po’ meglio del previsto, il Nuovo centrodestra un po’ peggio, la lista Tsipras lì dove i sondaggi la collocavano (cioè in lotta fino all’ultima scheda per il superamento della soglia che può portarla a Strasburgo). Male la neonata lista di Fratelli d’Italia: il che completa, se vogliamo dir così, l’insuccesso delle forze antieuropeiste del nostro Paese. E male – ma poteva andare peggio – Forza Italia, tenuta in vita solo dalla solita straripante campagna di Silvio Berlusconi.

Alcune considerazioni – in attesa dei risultati ufficiali – possono forse esser sviluppate fin da ora. La prima: si è molto detto di un governo (e di un premier) che si trovano lì dove sono senza alcuna investitura popolare. Ora, è vero che quelle appena concluse erano elezioni europee: ma considerato il tipo di campagna svoltasi (tutta incentrata su temi interni e sul futuro del Paese) è difficile non considerare il voto espresso una legittimazione ed un via libera ad andare avanti al governo in carica.

La seconda riflessione possibile riguarda il M5S di Beppe Grillo. La sensazione è che il risultato ottenuto nel febbraio 2013 (25%, cioè il consenso di un italiano su quattro) sia il tetto massimo possibile per un movimento che ha come sua unica cifra quella della protesta e del soffiar sul fuoco della comprensibile rabbia dei cittadini. Un anno e più in Parlamento restando fuori da tutti i giochi e senza strappare risultati legislativi (concreti) ha lasciato un segno profondo. Il tandem Grillo-Casaleggio dovrebbe rifletterci, e provare – nel prosieguo della legislatura – a trasformare in forza propulsiva un movimento che è parso più impegnato a bloccare iniziative piuttosto che a suscitarne di giuste e nuove.

La terza riflessione non può che essere sul futuro. Qualcuno (Grillo) aveva chiesto le dimissioni del governo in caso di sconfitta e nuove elezioni anticipate. Non accadrà. E se dovesse accadere, non sarà certo per la spinta «grillina». I retroscena delle primissime ore dopo il voto dicevano – al contrario – che sarebbe Matteo Renzi, ora, ad esser tentato dal voto anticipato. Poco credibile, col semestre europeo alle porte e con tanto lavoro ancora da fare. Un occhio d’attenzione, invece, lo merita il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. È fermo al palo, e forse sotto la soglia per mandare deputati in europa. Una brutta sorpresa, che potrebbe determinare nervosismo: che ci stiamo a fare al governo, i donatori di sangue per Renzi? Interrogativo non retorico. Vedremo che risposta si daranno Alfano e soci.

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