22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Goffredo De Marchis

ANSA - La Stampa

Il retroscena. Salta l’intesa per stabilizzare il governo portando all’Agcom un forzista e Zanda alla guida della prima commissione

Un pachetto di nomine per stabilizzare il governo Gentiloni e la legislatura, con l’orizzonte del 2018 navigando più serenamente al Senato dove la maggioranza ha numeri scarsi. Ma su questo pacchetto si consuma la prima, sotterranea, tensione tra il premier e il suo predecessore Matteo Renzi.
E questo alla vigilia della decisione della Corte costituzionale sulla legge elettorale attesa per domani. Perchè Renzi non ha intenzione di fornire strumenti di stabilità all’assetto attuale, visto che il suo obiettivo rimangono le elezioni anticipate a giugno. E quindi non poteva certo gradire il pacchetto di nomine e incarichi che puntava a stabilizzare il quadro politico.
Luigi Zanda presidente della commissione Affari costituzionali, ruolo chiave per il nuovo sistema di voto; Andrea Marcucci, iper-renziano nuovo capogruppo del Pd a Palazzo Madama, intesa sul giudice costituzionale chiamato a sostituire il dimissionario Giuseppe Frigo e patto per portare all’Agcom, l’authority che vigila sul contrasto tra Vivendi e Mediaset, Vito Di Marco, ex collaboratore del forzista Paolo Romani ma con 15 anni di militanza “dura e pura” nei Ds a Bologna, oltre a una competenza specifica nel settore delle comunicazioni. Questo è il pacchetto che porta a un patto tra Pd e Forza Italia per modificare insieme la legge elettorale e portare avanti la legislatura. E che stabilizza la poltrona di Paolo Gentiloni. Ma in questo caso gli interessi del premier e del segretario del Pd non coincidono. La prima vittima è Di Marco, silurato dal Pd ieri con un comunicato: «Voteremo un nostro candidato, non uno indicato da Romani». Matteo Orfini, altro tifoso del voto subito, sentenzia: «Non regaliamo la maggioranza al partito Mediaset nell’Agcom. Soprattutto quando sono in ballo scelte strategiche sul futuro delle comunicazioni».
È la scomunica di un accordo che il Pd, al Senato, aveva già avallato e confermato. Ma Mediaset c’entra fino a un certo punto. Il significato politico evidenzia due linee nel Pd tra i tifosi del voto anticipato e quelli del governo Gentiloni. Non bisogna rafforzare il sistema, è stato l’ordine partito da Largo del Nazareno e da Pontassieve. E il Senato deve rimanere un luogo pericoloso per gli equilibri dell’esecutivo. Mercoledì si vota sul membro dell’Agcom e si capirà se il nome di Di Marco è ancora salvabile. I 5 stelle sono pronti a candidare Antonio Padellaro, ex direttore del Fatto. Prima però, domani, arriva la sentenza della Consulta e si capirà quali sono davvero i tempi per la modifica dell’Italicum.
Zanda è un renziano della seconda ora, vicino a Dario Franceschini e ancora di più a Paolo Gentiloni. La sua scelta alla commissione presuppone una lavoro sulla legge elettorale non affrettato, non in linea con il voto al più presto. E in stretto collegamento con l’esecutivo. Lo spostamento verrebbe compensato con la promozione di Marcucci, renziano invece della primissima ora, un nome gradito anche alla minoranza del Pd con la quale ha mantenuto rapporti civili.
Ha sorpreso, a metà gennaio, la decisione di Zanda di sostituire lui, da capogruppo, Anna Finocchiaro passata al governo. Un modo per liberare il posto di presidente dell’Affari costituzionali a un membro esterno della commissione. Oppure a se stesso. Una figura in grado di tessere la tela di un’intesa con Forza Italia e di un dialogo con tutti i partiti. Ma se la situazione precipitasse a quella poltrona potrebbe andare proprio Marcucci, accelerando i tempi secondo il volere di Renzi.
Italicum demolito o solo da correggere? La risposta di domani sarà decisiva. Con il segretario del Pd che non guarderà solo agli interventi sul ballottaggio o sul premio. I capolista bloccati, ovvero i nominati dalle segreterie, sono molto importanti per la partita nel Pd. Se i giudici li confermeranno, Renzi avrà l’asso nella manica dei posti in lista da giocarsi con le correnti dem. E scambiare un Pd unito sulla scelta del voto subito con le caselle privilegiate. Siccome è nel feeling tra governo e partito e tra i big democratici che si gioca tutto, il segretario incrocia le dita.

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