19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

renzi

di Antonio Polito

L’instabilità è tanto evocata che è diventato instabile perfino il Financial Times: a luglio am-moniva che la vittoria del No avrebbe destabilizzato l’Italia e con lei l’Europa, l’altro ieri ha rivalutato il No assicurando che «una sconfitta di Renzi non per forza indebolirà il Paese». Del resto anche da noi un cultore della «Carta più bella del mondo» come Benigni, che l’ha elevata in teatro al rango della Divina Commedia e dei Dieci Comandamenti, ci avverte ora che era bella solo la prima parte, e che se non si cambiano 47 articoli della seconda «il morale va a terra peggio della Brexit». Anche il quesito che troveremo sulla scheda è oggetto di un furibondo scontro politico con tanto di ricorsi al Tar, e nel fronte del No c’è chi arriva a chiamare in causa impropriamente il Quirinale.

Si sa che l’iperbole e l’esagerazione sono un tratto tipico del dibattito pubblico in Italia, e che se ci viene data un’occasione per dividerci di solito non la sprechiamo. Ma neanche un Paese più compassato e solido del nostro avrebbe superato indenne la eccezionale durata di questa battaglia politica. Lanciata a maggio per concludersi in ottobre, poi rilanciata a settembre per concludersi in dicembre, sette mesi di guerra senza quartiere, del genere mors tua vita mea, sono decisamente troppi nelle nostre condizioni. Questo errore nasce dall’ansia del governo prima e dell’opposizione poi di trasformare la riforma costituzionale nel regolamento di conti finale di una fase politica: tra chi promette un nuovo mondo e chi annuncia la fine del mondo, secondo la felice metafora di un parlamentare. Uso improprio della Costituzione. Ogni richiamo a tenere i nervi saldi, a informarsi e a decidere serenamente (come quelli già venuti da Mattarella) va dunque accolto e sostenuto con forza. Ogni paragone con la Brexit è esagerato, e in ogni caso la Brexit ha prodotto più sconquasso sui mercati prima del voto che dopo il risultato. Non è neanche da escludere che nelle Borse ci sia chi esagera l’allarme referendum proprio per poter prendere posizioni o innescare speculazioni sfruttando un’incertezza che solo l’esito scioglierà.

Se proprio vogliamo preoccuparci per il futuro economico e finanziario del nostro Paese forse faremmo meglio a volgere il nostro sguardo verso rischi non ipotetici ma già reali, come i guai di alcune nostre banche, la debolezza estrema della crescita, il ritorno di uno spread superiore a quello dei titoli spagnoli. Il referendum sarà un momento di grande importanza perché stiamo cambiando la Costituzione. L’esito influirà certamente sulla politica e l’attività legislativa, campi della vita nazionale di primo piano, ma nei quali non si esauriscono i problemi quotidiani degli italiani. L’esercizio della sovranità popolare, che la Costituzione stessa prevede in questi casi, appartiene al genere dei costi della democrazia che un grande Paese come il nostro si può permettere, e che tutti gli altri Paesi devono accettare.

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