19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Carlo Verdelli

Quanti fondi sono stati previsti per i servizi di sostegno mentale e psichico per i minori nel Recovery Plan? Per ora, zero


Le categorie ingannano. Se quelli che erediteranno l’Italia, bambini e adolescenti sotto i 18 anni, diventano una categoria, finiscono tutti in un sacco, dove si mischiano i ribelli senza causa delle risse per strada, i coscienziosi che resistono alle lezioni via computer, gli invisibili che una connessione per seguirle neanche ce l’hanno o è debolissima (4 su 10, stima per difetto), i piccoli che ormai hanno realizzato che non è più un gioco e sbattono come farfalle contro finestre che non si aprono. Le varianti del virus cominciano a colpire pure loro, i minorenni, passati indenni dalla prima ondata, quando la grande guerra è cominciata, e il generale Figliuolo, comandante in capo e in campo contro la pandemia, fa bene a chiamarla così, «guerra», che sarà pure improprio ma rende l’idea di una cosa che ci sta travolgendo con punte di cinquecento morti al giorno, ogni giorno, e guasti non tutti riparabili al nostro tessuto sociale, economico e anche morale. Nell’attesa e con la speranza ardente che l’arma finale dei vaccini riesca a dissolvere il nemico, tra i pezzi di Paese a cui si dovrebbe prestare la massima attenzione c’è proprio la Next Generation, che al di là dei buoni propositi corre il rischio di diventare Lost Generation, i figli perduti, come quelli dell’isola di Peter Pan. Se si abituano a isolarsi, se si deprimono, se si arrendono dentro, chi morderà il mondo al posto loro?
Vantiamo il record internazionale di chiusura delle scuole. Dal marzo 2020, 10 milioni 800 mila studenti italiani hanno perso il 25 per cento dei giorni di lezione, compromettendo due anni didattici: la coda lunga di quello scorso e la gran parte di questo. Una gelata invernale nella primavera della vita, con l’interruzione forzata della fioritura sia culturale sia sentimentale. Non si tratta di riaprire ovunque adesso, tanto per dire che si è ripartiti: la circolazione del virus e la lentezza, non solo nostra, nelle vaccinazioni, lo sconsigliano caldamente e bene fa il governo a resistere alle pressioni dei tanti che vorrebbero un suicida liberi tutti, in nome di diritti più che legittimi ma altrettanto legittimamente sospesi. La questione centrale è come dare una prospettiva seria ai reduci variamente giovani di questa devastazione da virus. E come compensare l’impoverimento educativo di cui sono vittime.
Piccoli reduci feriti. Come i tanti, sempre di più, che manifestano disturbi alimentari o depressioni o tendenze all’autolesionismo come risposta a una prolungata condizione innaturale. Come i 160 mila che, chiusa la mensa scolastica (dove c’è, perché nelle regioni e nei comuni meno ricchi, specie al Sud, il tempo pieno è una rarità), hanno perso la possibilità di un pasto decente al giorno, realtà documentata da un’inchiesta di Goffredo Buccini su questo giornale. Come gli oltre 850 mila (stima per difetto) che la didattica a distanza nemmeno l’hanno sperimentata, non avendo un dispositivo, computer-tablet-smartphone, per connettersi.
Manca un mese alla versione definitiva del Recovery Plan da 191,6 miliardi che andrà consegnato all’Europa per l’approvazione. Quanti fondi sono stati previsti, per esempio, per potenziare i servizi di sostegno mentale e psichico per i minori che già adesso cominciano ad affacciarsi numerosi alle Asl e negli ospedali pubblici, e che è facile prevedere aumenteranno di numero e di disagio? Al momento, stanziamento zero. Come non sembra alle viste un progetto capillare e circostanziato per adeguare le scuole non al dopo virus, che è rimandato a data indefinibile, ma alla convivenza con il virus, che è la condizione certa per i mesi e forse gli anni a venire. L’elenco delle cose da fare è lungo e sarebbe stato molto meglio averlo smarcato dalla scorsa estate. Non è successo, a parte i volenterosi banchi a rotelle. Succederà? Tra le cose possibili e indispensabili: insegnanti e operatori vaccinati, sistemi per il ricambio d’aria continuo nelle aule, igienizzazione quotidiana degli ambienti, classi dimezzate di numero, servizio di mensa garantito in tutto il Paese e organizzato a turni, trasporti pubblici potenziati sul serio, anzi moltiplicati.
Questo è il momento di decidere. Due le opzioni: prepararsi già da domani a garantire il diritto all’istruzione in una modalità compatibile con il tempo incerto del virus, oppure assumersi l’immensa responsabilità, rinunciando ad agire in profondità e celermente, di negare di fatto il futuro a chi, per data di nascita, ne ha più bisogno, e anche diritto. Eterno bivio: formiche o cicale. E nel calarsi in uno o nell’altro abito sta il confine strategico tra Next e Lost Generation.
Scriveva Italo Calvino: «Un Paese che demolisce l’istruzione è governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno tutto da perdere». Scuola don Milani, che da Barbiana ribadiva la vera posta in gioco ai suoi alunni dell’ultimo banco sociale: ogni parola che non impari oggi, è un calcio in culo domani. Un Paese prostrato dalla pandemia, che non approfitta degli aiuti europei per ricostruire l’edificio lungamente saccheggiato del sapere per tutti, non è un Paese per giovani. Non è nemmeno un Paese coerente con i propri valori fondamentali. Si condanna ad essere, tristemente, un Paese senza.

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