Ansia e depressione: un’emergenza per un’intera generazione. Un disagio che merita investimenti per le cure
Qualcuno ascolta i professori delle scuole italiane? Oltre a picchiarli se hanno messo un brutto voto o a insultarli sulle chat, qualcuno chiede agli insegnanti di aiutarci a capire cosa sta accadendo nei comportamenti, nell’umore, nella visione del mondo degli adolescenti italiani? Qualcuno pone loro questa semplice domanda: «Come sono, come stanno i giovani che sono seduti sui banchi delle vostre classi?». Basterebbe anche chiederlo ai ragazzi. Sarebbe bello se un giorno la presidente del Consiglio andasse in una scuola e si mettesse seduta in una classe, a porte chiuse, senza il circo mediatico attorno, ad ascoltare i ragazzi rispondere sinceramente a una domanda anch’essa semplice, la più semplice che ci sia: «Come stai?». Su questo giornale, appena il Covid è esploso, abbiamo segnalato che le ripercussioni principali, dal punto di vista psicologico, sarebbero state tra gli adolescenti. Il confinamento, le mascherine, la scuola a distanza, le feste, le pizze, i cinema, i primi amori, lo sport: tutto è stato perduto, per un tempo che ha coinciso con il più importante della vita, quello in cui ci si conosce, si cerca di capire, si cambia, si affronta il lutto della perdita dell’infanzia con il risarcimento della scoperta della meraviglia dell’altro da sé. Sono rimasti soli, costretti nelle case, impauriti da un nemico misterioso e invisibile che sta nell’aria, legati ai social come unica forma di relazione con l’esterno.
Si poteva pensare che tutto questo non avesse conseguenze? Oggi i tredicenni di quattro anni fa frequentano gli ultimi anni di liceo. E i quindicenni di allora stanno per lasciare la scuola e cambiare ambiente sociale, altra condizione non facile. Tutti, basterebbe ascoltarli, portano il segno di quella esperienza. I dati di Massimo Ammaniti dicono che il 27,5 % degli adolescenti vive sintomi di ansia, il 13,8 denuncia sintomi depressivi e il fenomeno cresce, ovviamente, nei ceti sociali meno abbienti. L’Autorità Garante dell’infanzia ha scritto nel suo rapporto: «La pandemia ha determinato un insieme di fragilità di entità crescente che riguardano sia l’aggravamento di disturbi neuropsichici già diagnosticati, sia l’esordio di disturbi in soggetti in condizioni di vulnerabilità, connessa alla condizione familiare, ambientale, socioculturale ed economica, e in soggetti sani che non presentavano alcuna diagnosi. I professionisti hanno assistito a una vera e propria «emergenza salute mentale». «Emergenza salute mentale» tra gli adolescenti italiani. Non bisognerebbe fermarsi a riflettere come affrontarla?
Ci sono altri due giganteschi cambiamenti, nel rapporto tra «il caro tempo giovanile» e il contesto storico e sociale. Il primo è legato all’irruzione violenta, in un tempo breve, della rivoluzione digitale. Per Save the Children il 47,1 delle ragazze italiane tra gli 11 e i 13 anni usa lo smartphone. Per l’Istituto Superiore di Sanità, sessantaseimila giovani tra gli 11 e i 17 anni hanno dichiarato di aver vissuto in isolamento tutti i giorni degli ultimi sei mesi rilevati. I social sono percepiti ormai come un tribunale permanente. In un rapporto Unicef una ragazza di 16 anni ha detto: «Ti senti sempre giudicato dai social». I ragazzi vivono spesso isolati e connessi con un universo virtuale che possiede tante apparenti virtù e tanti reali collegamenti da fornire l’illusione di essere un «mondo a parte», bastevole per vivere. È un fatto che la meraviglia del digitale avrebbe bisogno di regole che tutelino la persona umana, specie i più fragili. E che nessuno sembra avere il coraggio di farlo. Salvo poi, come ha fatto il sindaco di New York, denunciare i social network per i danni che essi producono sugli adolescenti della sua città. La seconda novità è data dal grado di fiducia nel futuro che questa generazione è in grado di vivere e coltivare. In pochi anni si sono sommati una serie di fattori che determinano uno stato d’animo, generale, di ansia. La guerra che mostra in Ucraina, in Israele e a Gaza tutto il suo orrore e intanto si avvicina a noi sempre di più; lo choc di una globale malattia virale che ha minato la fiducia positivistica nella scienza; l’emergenza climatica che da minaccia si è fatta immanente realtà; una crisi economica e finanziaria che non smette di mordere e ora, con gli effetti dell’intelligenza artificiale, rischia di rendere obsoleti lavori e funzioni con i quali vivono milioni di famiglie. Nel buio si diffonde l’ansia, che è la parola chiave del sentimento comune degli occidentali in questo tempo storico. I ragazzi sentono un furto di futuro e rischiano di ripiegarsi in sé stessi.
Cosa fare allora? In primo luogo ascoltare, comprendere e non rimuovere. Poi curare, ritenendo che il disagio giovanile non sia solo una questione di ordine pubblico, ma un fenomeno sociale che merita di investire sulle cure psicologiche diffuse e sulla rottura dello stigma che esse ancora contengono. E poi restituire certezze sociali e fiducia in valori e ideali. Che non sono retorica per discorsi, ma scelte e energia che legano le comunità. Mai la politica e i decisori pubblici, nel tempo successivo alla seconda guerra mondiale, hanno dovuto fronteggiare tanti cambiamenti e tanti pericoli. Ma qui, ora, si misurerà la loro grandezza. Nel 1943 Vittorio Foa, uscendo dal carcere, regalò al suo compagno di cella La Scienza nova seconda di Vico. Come dedica gli scrisse queste parole, estratte dal testo: «Per varie e diverse vie, che sembravano traversie ed eran in fatti opportunità».