Fonte: La Repubblica
di Alessandro Barbera
Il responsabile del tesoro frena sulla “tassa piatta”: è un problema di compatibilità finanziaria e costituzionale
Niente manovra correttiva, niente patrimoniale, nessun aumento dell’Iva. O meglio: Giovanni Tria sarebbe favorevole ad aumentarla, ma ammette di essere membro di un governo che non gli permetterà di farlo. In sostanza dice no anche alla tassa piatta che invoca Matteo Salvini, e lo fa con le stesse parole dei grillini: «occorre mantenere la progressività delle imposte, come c’è scritto nella Costituzione». Il ministro del Tesoro è di passaggio a New York dopo il vertice del Fondo monetario. Collegato con «Mezz’ora in più» su Rai Tre spiega di essere favorevole a una riforma in quella direzione, anzi di «averne scritto a favore» prima di diventare ministro. Ma ammette che fra ridurre le tasse ed un’aliquota uguale per tutti ce ne passa: «Si può immaginare un’area di reddito che non viene tassata se il livello è molto basso», un’area esiste già per i redditi inferiori agli ottomila euro. Aggiunge che «occorre ridurre il numero delle aliquote in modo progressivo», che è cosa ben diversa dalla tassa piatta. In ogni caso l’aliquota unica per tutti i redditi non si può fare: «per problemi di stabilità finanziaria dovrebbe essere posta ad un livello abbastanza elevato».
Quel che Tria non spiega è come faranno tornare i conti a fine anno. La Ragioneria ha certificato un aumento delle spese nel triennio per 133 miliardi di euro, 95 dei quali solo per le voci «lavoro e pensioni». Tria non fa una piega: «le risorse non sono così limitate» e si chiede – quasi fosse ancora un commentatore del Foglio – «se c’è la possibilità di rivedere più o meno profondamente la spesa pubblica». Uno degli allegati al Documento di finanza pubblica conferma l’impegno a otto miliardi di risparmi entro il 2021, ma certifica anche di aver già fallito gli obiettivi di quest’anno per un miliardo.
Il ministro garantisce che «non ci sarà nessuna manovra correttiva e nemmeno una patrimoniale: «Il rischio non c’è, io sono molto contrario perché avrebbe un impatto distruttivo su crescita e consumi». Cosa diversa sarebbe l’aumento dell’Imposta sul valore aggiunto. Anche qui Tria spiega di avere un’opinione accademica diversa dalla maggioranza, «ma non posso confonderla. Io sono per lo spostamento dell’imposizione sui consumi piuttosto che sui redditi perché lo considero più favorevole alla crescita». Eppure il Def e la Finanziaria in vigore scrivono che circa la metà dei 133 miliardi di maggiori spese del triennio 2019-2021 oggi sono coperti con aumenti di quell’imposta: per 23 miliardi nel 2020, poco meno di 29 il successivo. Se non aumenterà l’Iva, cosa farà il governo? Andrà allo scontro con l’Europa? Non solo: Tria ammette che le ultime misure approvate dal governo avranno «un impatto positivo ma limitato» sul già basso tasso di crescita di quest’anno. L’Italia corre il rischio di non centrare nemmeno lo 0,2%: tutto dipenderà da «un secondo semestre sostenuto». Niente manovra correttiva, niente patrimoniale, nessun aumento dell’Iva.
La via del deficit
Resta solo la strada del deficit, a questo punto ben oltre il 2,4 per cento programmato nel Documento di economia e finanza. Assumendo un tasso di crescita pari a quello programmato, se il governo deciderà di fermare gli aumenti Iva significherà un aumento del disavanzo per più di un punto percentuale, dunque ben oltre il tre per cento fissato come limite invalicabile da Maastricht. Salvini e Di Maio sperano nell’indulgenza della nuova Commissione europea, ma è difficile immaginare che quella Commissione, per quanto attenta al nuovo corso populista, si dimentichi dell’esistenza delle regole. Più facile immaginare uno scontro frontale che probabilmente farebbe ripartire il valzer dello spread sul debito sovrano. A quel punto qualcuno dovrà far tornare i conti. Resta solo da capire se sarà ancora l’attuale governo.