20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Sara Bettoni

Il tasso di saturazione nei reparti è lontanissimo rispetto a quello di marzo. In Lombardia è passato dal 122 al 5,6%. Trento, Molise, e Basilicata a oggi non hanno ricoveri


L’attenzione ritorna sulle terapie intensive. Ieri hanno accolto 30 persone in più contagiate dal coronavirus. In tutta Italia sono 420 i pazienti gravi. Un numero basso se paragonato agli oltre 1.300 casi che la sola Lombardia ha dovuto curare in alcuni drammatici giorni di marzo. Ma il confronto con la scorsa primavera non è sufficiente. Ci sono altri dati da considerare per capire se le Regioni sono pronte ad affrontare la seconda ondata. Le terapie intensive sono i reparti dedicati ai malati in condizioni critiche, sia a causa del Covid-19 sia per altre patologie o traumi. Nei momenti più concitati dell’emergenza le Regioni maggiormente colpite aprivano letti per questo tipo di malati ovunque fosse possibile. Passato il picco tutte hanno dovuto stendere un piano per ampliare i reparti. A livello nazionale è stato programmato un incremento di 3.553 posti rispetto ai 5.179 di partenza, fa sapere il ministero della Salute. A questi se ne aggiungono altri 4.225 di terapia semintensiva, la metà dei quali riconvertibili per i pazienti critici. Per creare più letti servono macchinari, lavori, spazi, tempo. E a oggi, mentre i contagi salgono, il maxi-piano non è completato.
Il 38 per cento dei letti programmati è stato attivato, dice il ministero, senza fornire i dettagli regionali: gli italiani hanno a disposizione 6.529 letti di rianimazione. Siamo lontani dal traguardo di 8.732. La gara per far partire i cantieri è stata lanciata dal commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri all’inizio di ottobre e si chiuderà oggi alle 14. La previsione è di vedere gli operai al lavoro entro la fine del mese. Quanti letti di intensiva sono occupati oggi e quanto spazio c’è se i casi aumentassero rapidamente? Altems, l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica, nell’ultimo report calcola questa percentuale sia sul totale dei letti disponibili pre-Covid sia sui posti che avremo in futuro. Il Corriere ha fatto lo stesso conto con i dati a ieri. A livello nazionale la saturazione è del 7,4 per cento. Su 100 letti per malati gravi sette sono occupati da contagiati. Gli altri non sono tutti liberi: in parte accolgono persone con altre patologie.
Più difficile la fotografia regionale. «Abbiamo creato una forchetta, non sapendo a che punto è in ciascun ospedale l’ampliamento delle terapie intensive», spiega Americo Cicchetti, direttore di Altems e coordinatore del report. Tra i dati peggiori c’è quello della Valle d’Aosta, con il 30 per cento di saturazione tenendo conto dei letti pre-emergenza (90 per cento a marzo). Segue la Campania, con il 18,2 per cento: peggio della primavera quando l’epidemia non l’aveva travolta. In terza posizione la Sardegna con il 16 per cento dei letti occupati, contro l’11 di sette mesi fa. Al quarto posto la Liguria, con il 14,4 per cento, lontana comunque dall’81 per cento del passato. La Lombardia, terra martoriata dalla prima ondata, è passata dal 122 per cento (con letti creati dal nulla per stare al passo con le richieste) al 5,6 di ieri, il Piemonte dall’86 al 7,3, il Veneto dal 48 al 4,9. Alcune zone sono ferme a zero: è il caso del Molise, della Basilicata, della provincia autonoma di Trento. Eppure Cicchetti invita ad andare oltre. «L’incremento dei posti dovrebbe essere tale da permettere di gestire sia i malati Covid sia i non Covid. Altrimenti si rischia nuovamente di bloccare il resto dell’attività sanitaria». Dalla prossima settimana il monitoraggio dell’università metterà in rapporto i ricoveri per virus solo con i letti aggiuntivi programmati.
I primi a osservare attentamente i dati sono i «padroni di casa» di questi reparti: gli anestesisti-rianimatori. Ieri durante la tavola rotonda online della Siaarti (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) gli esperti hanno condiviso ciò che vedono in corsia. «Oscilliamo tra il 7 e il 15 per cento di ricoverati che finiscono in rianimazione — riassume il vicepresidente Antonello Giarratano —. La malattia non è cambiata, ma i contagiati sono più giovani, quindi hanno meno probabilità di aggravarsi e il tracciamento è più efficace». Il professore si dice preoccupato «per i tanti asintomatici: così non sappiamo da chi difenderci. E il trend dei contagi sale. Va fermato ora con misure più stringenti». Sull’ampliamento dei posti in rianimazione «siamo in ritardo. Abbiamo fatto un’estate da cicala».
C’è un altro punto che gli sta a cuore. Con il decreto Calabria è stata data la possibilità agli specializzandi del quarto e quinto anno di essere assunti e lavorare nel proprio ambito di specialità. «Alcune regioni si sono attivate, altre si sono adagiate sui contratti d’emergenza Covid. E così si rischia che gli specializzandi in rianimazione finiscano in altri reparti. Serve una verifica del ministero».

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