Acceso confronto tra la premier e Giorgetti in Consiglio dei ministri. Gli staff: non è vero
Guai a parlare di «scontro», da quando a Palazzo Chigi c’è Giorgia Meloni. Nelle stanze con vista su piazza Colonna la parola è bandita, soprattutto quando i duellanti sono i «big» della maggioranza. Ecco allora che, alle otto della sera, una nota concertata dagli uffici stampa della Presidenza del Consiglio e delle Finanze atterra sugli smartphone dei giornalisti per smentire «categoricamente» attriti e acuti tra Meloni e Giorgetti. La premier e il responsabile dei conti pubblici, assicurano i rispettivi staff, lavorano «in piena sintonia e con la massima condivisione» su tutti i dossier, «inclusa la difesa Ue».
Eppure, alla discussione in Consiglio dei ministri hanno assistito diversi esponenti dell’esecutivo. E forse non è un caso che il presidente del Senato, Ignazio La Russa, su Rete4 abbia fatto un appello: «Sarebbe giusto controllare i toni al nostro interno e non creare una rottura capace di indebolire l’Italia e quindi anche l’Europa». La scena è in due tempi. In un angolo della sala, la donna che guida il governo pianta gli occhi negli occhi di Giancarlo Giorgetti e, senza limare gli accenti, sfoga il fastidio per la presa di posizione dei vertici della Lega al consiglio federale. L’invito alla prudenza sulla guerra in Ucraina e il no a «ulteriori debiti» per armare l’Unione hanno irritato la presidente. Meloni vuole muoversi da mediatrice tra Washington e Bruxelles e il controcanto continuo di Salvini, con tanto di banchetti, le complica il lavoro. Il chiarimento con Giorgetti è a tratti brusco, ma Chigi e Mef smontano come «infondate» le ricostruzioni su un confronto-scontro, con qualche decibel di troppo.
«Quando Matteo è entrato, Giorgia ha cambiato espressione — racconta chi c’era —. Non un gran clima». Il problema è il continuo stillicidio di dichiarazioni, per dirla con un ministro, «filo Trump, filo Putin, filo tutto».
Salvini prende posto accanto alla premier, fa un breve intervento molto tecnico sui Trasporti, i due parlano fitto per qualche minuto finché lui si alza e se ne va, inseguito dalle battute sottovoce dei colleghi di FdI: «Prima voleva la leva obbligatoria, ora è pacifista… Con Berlusconi e Conte era favorevole al 2% del Pil per le spese militari, ora è contrario… Va bene che ha il congresso, ma sta esagerando». E non è finita. Roberto Calderoli è furibondo perché la legge delega sui Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), fondamentale per far ripartire l’Autonomia, si è impantanata: «Ho scritto ai ministri e nessuno mi ha risposto». La premier media e il sottosegretario Alfredo Mantovano sprona tutti a dar seguito alla richiesta del titolare degli Affari regionali.
Tensioni che hanno innervosito Meloni, determinata a ricompattare una coalizione andata in frantumi in Europa sul piano di riarmo di Ursula von der Leyen e sul sostegno all’Ucraina, con la clamorosa astensione di FdI. Martedì al Senato e mercoledì alla Camera la presidente parlerà in Aula in vista del Consiglio Ue e vuole scongiurare una spaccatura sul voto. Il testo della risoluzione di maggioranza sarà scritto a Palazzo Chigi, poi verrà sottoposto a Salvini e Tajani e infine potranno visionarlo i capigruppo. La premier, a dispetto delle fibrillazioni, è ottimista: «Troveremo la quadra».
Dal Canada, dove è volato per il G7, il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia ha confermato che il governo «non è favorevole all’invio di truppe della Nato o della Ue in Ucraina». Ragionare sulla partecipazione dell’Italia alla coalizione dei volenterosi a cui lavorano Francia e Regno Unito è per Tajani «molto prematuro, perché prima bisogna arrivare alla pace». Il primo ministro Keir Starmer ha invitato per domani i leader dei «volenterosi» a una video-call e Meloni, salvo sorprese, non si collegherà. «Se si parla dell’invio di truppe al fronte ucraino io non ci sarò», è la linea. Ieri i cambi in corsa nell’agenda della premier hanno rilanciato l’ipotesi di un «blitz» imminente per incontrare Donald Trump alla Casa Bianca, ma lo staff non conferma: «Non ci sono viaggi all’orizzonte».